I mostri di Hamas, divenuti dispositivo di morte assoluta e di caos
La barbarie nell’epoca della replicabilità digitale
Le autorità israeliane sono state costrette ad organizzare uno screening pubblico, a beneficio della stampa internazionale, per mostrare ai giornalisti i video delle nefandezze commesse da Hamas lo scorso 7 ottobre. Un carnaio osceno, immortalato spesso dagli stessi terroristi, altre volte dalle vittime o dalle videocamere di sicurezza dei kibbutz e delle abitazioni, andato in onda per cercare di dissipare la coltre di propaganda terroristica o la ritrosia nel condannare gli eventi da parte di chi dimostra un qualche strumentale scetticismo. Una mostruosità umiliante per le vittime e per chiunque si sia dovuto sottoporre a uno show incuneato nella visionaria dimensione snuff alla Videodrome, di Cronenberg, o tra le pagine più crude de La mostra delle atrocità, di Ballard, ma reso necessario dalla ostinazione pregiudiziale di una parte di intellettuali, commentatori e giornalisti, i quali sembrano pendere dalle labbra di Hamas qualunque cosa i terroristi dicano, dimostrando invece ottusa insensibilità per la comunicazione istituzionale di Israele. Paradosso di tempi in cui la presunta informazione pluralizzata e orizzontalizzata dal web ha talmente saturato lo spazio informativo da generare un sanguinolento rumore di fondo, caotico, a volte percorso da falsità e interpretazioni artatamente di parte che rende indistinguibile il fatto dall’opinione, il pregiudizio partigiano dalla analisi.
Il rischio è ovviamente quello di strutturare una pornografia dello strazio, delle carni martoriate, in cui non conta più il fine sottostante, mostrare l’atrocità nella sua nuda barbarie, ma a prendere il sopravvento è il voyeurismo. Esecuzioni con la motosega caricate online dai Cartelli della droga messicani, prigionieri russi decapitati dai Ceceni, il video delle uccisioni col martello dei maniaci di Dnipropetrovsk, le mostruosità dell’ISIS da anni hanno ormai pervaso gli angoli oscuri, e persino meno oscuri, di Internet. Un muro grottesco di morte vera, puntellata da un livello assoluto di morbosità, in grado di distruggere persino gli assunti più radicali della società dello spettacolo. Per Debord, la società dello spettacolo è imperniata sulla merce che contempla se stessa. Internet ha spinto la soglia emotiva di partecipazione ben oltre questo assunto, facendo pornografia, in termini di impatto emotivo, di colate laviche di un orrore difficilmente pronunciabile, l’orrore conradiano che mozza il fiato e lascia a contemplare la carne resa ombra.
Dávila lo ha scritto in maniera cristallina; il futuro appartiene alla pornografia. E ogni teatro di guerra, ogni scena del crimine, dal Bataclan al massacro di Atocha, fino alle immagini rivoltanti che ora ci giungono da Israele, vengono risucchiati nel gorgo del sensazionalismo e dell’intrattenimento.
Quando iniziarono a circolare le prime vivide descrizioni di cosa fosse accaduto davvero all’interno del Bataclan, quella orrenda carneficina di occhi strappati dalle orbite e viscere srotolate come festoni di carnevale, una delle prime preoccupazioni di diversi utenti internet fu chiedere se esistessero video di tutto ciò. Lo aveva capito il mostruoso al-Zarqawi, fondatore dell’ISIS, uno tra i primi a mettere in scena un reale Grand Guignol di prigionieri decapitati. E quei video, i prigionieri attoniti, inermi, vestiti con le tute arancioni usate dall’esercito americano per contraddistinguere i miliziani islamici catturati, in un detour debordiano stordente, i proclami e le preghiere, e poi i coltellacci spuntati, il sangue, la morte, i macabri trofei esibiti con piglio da boia medievale, sono divenuti parte di un frame che si eterna sui canali digitali e che viene riprodotto in un istante ininterrotto. I mostri di Hamas, ormai divenuti dispositivo di morte assoluta e di caos, lo sanno bene. Sanno che avrebbero costretto Israele, per scalfire la cortina di scetticismo, a questo ulteriore passo, contando sulla spettacolarizzazione pornografica della sofferenza e della oscenità di quanto fatto dai loro militanti. Un altro elemento da mettere sul piatto, quando saranno chiamati a pagare il conto finale.
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