Mai come in questo momento ci sarebbe bisogno del centro; eppure, mai come oggi, proprio il centro non trova una sua dimensione politica ed è confinato, vaso di coccio nel bipolarismo della radicalità. Si usa dire che, in fin dei conti, l’Italia rimane un paese di centro. Forse non è più così e non per la venuta della Gioventù meloniana. Da oltre trent’anni la penisola ha intrapreso un percorso lineare verso la radicalità che culmina con il duello tra le due leader Meloni e Schlein. Lo si vede nei toni, nei modi, nei tempi forsennati della comunicazione social-politica, nel non riconoscere l’avversario, nell’ossessione per la cronaca, nella tirannia dell’emergenza che detta l’agenda del quotidiano politico perché “è un’emergenza”. Ciò, chiaramente, non vuol dire che oggi non esistano forze riformiste nel panorama attuale. Esistono ma sono confinate in una ridotta, nonostante le autorevoli iniziative e proposte (anche merito di una classe dirigente generalmente di buon livello) di Azione, Forza Italia e Italia Viva, le forze che tali si definiscono.

Il percorso

C’è stato un percorso, come accennato. Il Partito Democratico, persa la sua componente di centro, segnatamente gli eredi della Margherita, ha intrapreso la transizione verso il “partito radicale di massa” previsto da Del Noce. Tuttavia non è un caso. C’è un nuovo tipo di uomo che ha incorporato, per effetto dei modelli culturali e per la spinta delle agende politiche della Ue e non solo, la doppia g, gender & green. Di contro, la Destra-destra, in tutta Europa, ha il vento a favore e prenderà ancor più slancio con l’accrescersi delle tensioni internazionali. Ad ogni modo, queste evidenze non esauriscono il problema. Per comprendere l’emersione della radicalità e la crisi del centro, ovvero di una visione di moderata, progressiva e in ultima analisi di buonsenso del mondo, bisogna sganciarsi dalla cronaca e afferrare il senso profondo e il moto della storia, oltre la superficie dei fatti. C’è, infatti, un nesso tra il ciclo storico, i valori di una società, le combinazioni politiche. C’è una meccanica, seppur non esatta ma ferrea, che va colta.

I problemi irrisolti

È il 1945. Il dramma della disastrosa guerra perduta apre gli spazi per la ricostruzione, guidata da una classe dirigente visionaria e concreta, grazie all’intesa tra riformismo socialista e dottrina sociale della Chiesa. La famiglia è il centro della società, tutti possono realizzare il sogno di casa, inizia una poderosa accumulazione di risparmi, un cauto conservatorismo nei valori orienta la vita quotidiana, c’è un ordine sociale ma ci sono possibilità di promozione. Prevale una visione ottimistica del mondo, al quale si deve contribuire con un impegno diretto nella vita civile e politica. La Chiesa di Roma è un faro. Atlantista, la classe politica persegue un’azione a schiena dritta Mediterraneo post-coloniale, con reciproci vantaggi. Dopo la frattura delle monetine, tra le bombe nei Balcani e il raid a Tripoli del 2011, fine del Mediterraneo italiano, il ciclo storico post-45 si avvia verso la conclusione; l’antipolitica e la radicalità fanno il pieno. L’invasione dell’Ucraina e le bombe a Gaza, nel non risolto puzzle mediorientale, segnano un’ulteriore tappa verso la guerra per l’egemonia mondiale da cui nascerà un nuovo assetto.

StresemannGiolitti

Guerra e fame saranno, dunque, le cifre dei prossimi anni, mentre l’inflazione polverizza i risparmi e conseguentemente le classi sociali risparmiatrici e la stabilità energetica figlia di una sapiente politica mediterranea è un ricordo. E allora casa, lavoro, salute, energia siano i capisaldi di una proposta di governo! Non “l’altro è un problema” ma “il problema dell’altro è il mio problema”. Perché prima dei simboli e dei leader, pur validi, servono le idee e l’impegno concreto. Tempi come questi, al netto di tutto, rivelano l’inconsistenza di certe soluzioni facili e veloci. Tra l’antipolitica in divisa, segnatamente Vannacci, e le nuove anti-eroine, questi problemi sono irrisolti perché richiedono cautela, modifiche successive, riforme graduali. Ha ragione Marina Berlusconi che, con un’intervista, ha smosso lo scenario della politica italiana lanciando un allarme sull’ondata di estremismi in Europa. Forse servirebbe anche un po’ di autocritica, non solo nelle scelte politiche ma anche nei modelli culturali. Certo è che per fermare gli estremismi, la storia insegna ma le classi sono in Dad, servono le riforme di Stresemann e di Giolitti.

Lorenzo Somigli

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