Nella città “non c’è più niente”
La battaglia ‘tritacarne’ di Bakhmut, Putin conquista le macerie: schiaffo dello chef Prigozhin ai colonnelli del Cremlino
Dopo l’annuncio della conquista di Bakhmut, in alcune zone della città si continua a combattere. È un duello all’ultimo sangue, quartiere per quartiere, in cui gli ucraini resistono mentre i russi provano a prendere il controllo dell’intero centro abitato. La viceministra della Difesa ucraina, Hanna Maliarm ha parlato di “un piccolo progresso lungo i fianchi a nord e a sud di Bakhmut” delle truppe di Kiev, ribadendo che le forze armate non hanno abbandonato il campo. I russi, dall’altro lato, ribadiscono che la città è ormai occupata dalle forze di Mosca, con i mercenari di Evgheni Prigozhin che dopo avere annunciato per primi la presa di Bakhmut (per i russi Artemivsk) hanno già pronta la consegna della città alle forze regolari o ai miliziani del ceceno Ramzan Kadyrov.
Sono forse gli ultimi momenti di una battaglia tragicamente chiamata “il tritacarne”. Un abisso di morte e resistenza in cui la distruzione ha preso il sopravvento, al punto che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto che Bakhmut rimane “nei nostri cuori”, paragonando ciò che resta del centro abitato alle immagini di Hiroshima dopo la bomba atomica. Una città dove “non c’è più niente” ha sottolineato il presidente ucraino, che con quella frase ha forse voluto inviare il messaggio che il Cremlino, in fin dei conti, ha conquistato solo macerie dopo un enorme tributo di sangue.
Per Mosca era essenziale portare a casa una vittoria. Lo ha dimostrato del resto lo stesso Vladimir Putin, che ha subito ringraziato pubblicamente la Wagner per il lavoro svolto nonostante l’evidente smacco dovuto alla vittoria fornita da una legione di contractors. Legione alla guida di un uomo, Prigozhin, che da tempo si è trasformato nella spina nel fianco del governo russo, “longa manus” di Putin ma allo stesso tempo minaccia continua alla leadership del presidente e dei vertici della Difesa.
I due più grandi rivali di Prigozhin, il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, hanno dovuto accettare che la conquista di quello che è l’epicentro delle ostilità sia stata opera dello “chef di Putin”. E anche l’annuncio dello stesso capo della Wagner di voler ritirare i contractors lasciando Bakhmut nelle mani delle truppe regolari di Mosca, rappresenta quasi uno schiaffo morale nei confronti di coloro che sono considerati i grandi avversari dell’esercito di mercenari. Prigozhin ha voluto dare ancora una volta l’immagine di essere lui a guidare l’avanzata della Russia nell’Ucraina orientale, di essere lui ad avere comandato l’assedio contro un esercito nemico visto dalla propaganda come uno strumento della Nato, ed è lui ora a dettare anche i tempi in cui le forze armate entreranno nella città una volta abbandonata dalla Wagner.
Tutti questi sono dei messaggi più o meno in codice che non sono secondari. Soprattutto in un conflitto in cui, specialmente nella parte russa, è fondamentale anche l’equilibrio tra vertici militari e politici, leader di milizie, mercenari e oligarchi. La lotta intestina è essenziale per comprendere le dinamiche dell’invasione russa. E non è dunque un caso che Prigozhin, oltre che per motivi strategici voluti dal Cremlino, abbia sacrificato buona parte della sua armata per combattere nel “tritacarne” di Bakhmut. Che poi questa vittoria sia fondamentale, minima o “di Pirro” è difficile al momento da dirsi.
Gli analisti occidentali si soffermano sul dato delle perdite russe, probabilmente tali da non autorizzare eventuali avanzate nemmeno nelle città limitrofe. Altri ritengono che Bakhmut possa trasformarsi in un problema strategico per gli stessi comandanti russi, costretti a difendere un centro abitato in macerie con l’esercito ucraino che comunque è presente nelle aree periferiche. Altri osservatori, invece, ritengono che di fatto Bakhmut possa non cambiare le sorti della guerra, ma anzi consolidare una situazione di attrito tra i due schieramenti dopo uno stallo di quasi trecento giorni di assedio.
Quello che però appare certo è però il dato “politico” interno al fronte russo, e cioè che la (quantomeno attuale) conquista di Bakhmut se la sia intestata Prigozhin: l’uomo che dall’Africa all’Ucraina controlla un impero di mercenari e interessi in grado di renderlo agli occhi di molti clienti alla stregua di un leader militare autonomo. Un’immagine che la Wagner potrà spendere soprattutto all’estero, ma che lo “chef” vuole usare soprattutto in patria per colpire i nemici di sempre: i generali dell’Armata russa.
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