Sarajevo è la cosiddetta perla dei Balcani. Molti hanno sentito parlare di questa Gerusalemme europea già nella formazione scolastica. Una città ricca, di cultura, storia, avvenimenti. La città in cui l’arciduca Francesco Ferdinando è stato assassinato, evento che ha causato la prima guerra mondiale. La città del più lungo assedio in epoca moderna, dal 1992 al 1995, durante la guerra che ha visto anche il genocidio di Srebrenica più a est. La città della sofferenza estrema, ma anche della straordinaria resilienza come dimostrano i concerti e attività culturali proposti sotto l’assedio.
Sarajevo oggi è tornata a respirare, ma rischia di essere nuovamente soffocata dalla politica, che è ancora in mano a persone che la usano per il tornaconto personale.

Diversi avvenimenti degli ultimi mesi hanno rafforzato la sensazione di crisi costante. In questo rafforzamento purtroppo giocano un ruolo anche gli attori internazionali. L’Alto Rappresentante della Comunità internazionale, Christian Schmidt, cambia la legge elettorale il giorno stesso delle elezioni; alcuni rappresentanti dell’Unione europea si incontrano con il nazionalista Milorad Dodik che apertamente lavora per la secessione della parte del paese in cui i serbi sono in maggioranza; il continuo negare il genocidio di Srebrenica in Republika Srpska (da parte di chi?).
Gli attacchi ai giornalisti, la mancata trasparenza. E potremmo continuare. Alla domanda: che cosa non funziona in Bosnia ed Erzegovina? Sarebbe molto difficile e occuperebbe moltissimo tempo tentare di rispondere.

E nonostante ciò, la Bosnia ed Erzegovina è un Paese incredibilmente bello e pieno di potenziale. Essa condivide tanti aspetti con l’Ucraina; se qualcuno può capire che cosa sta passando il paese in guerra, è la Bosnia. Non solo perché ha subito una guerra, e un genocidio; ma anche per il modo con cui l’Unione europea, la NATO, insomma gli attori internazionali si muovono spesso non conoscendo abbastanza la regione, prendendo decisioni politiche affrettate, e così trascurando le conseguenze sulla popolazione locale.
Rispetto agli altri Paesi dei Balcani, la Bosnia ed Erzegovina è indietro nel processo di allargamento. Ha ricevuto lo status da candidata soltanto nel dicembre 2022, e solo grazie all’Ucraina (che ha rimesso in discussione la politica di allargamento, ferma da anni). Deve adempiere 14 priorità chiave formulate dalla Commissione europea come condizioni necessarie, prima di poter ufficialmente cominciare i negoziati di adesione con l’Unione europea. E ci vorrà ancora molto tempo, considerato che i politici locali (specialmente in Republika Srpska) non hanno nessun interesse a far avanzare il Paese. Ma oltre ai politici, c’è il problema del sistema politico complesso: uno stato diviso in due entità, di cui una con molti livelli di governo, non può facilmente essere un sistema efficace o funzionante, a maggior ragione quando manca la volontà di collaborazione.
Ultimamente però si osservano anche degli sviluppi positivi. La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha riconosciuto, nella sentenza sul caso Slaven Kovačević contro la Bosnia-Erzegovina, che le elezioni nel paese non sono democratiche, perché i tre gruppi grandi (bosgnacchi, croati e serbi) godono, costituzionalmente, di una posizione privilegiata che rende, in alcuni casi, impossibile una rappresentanza secondo preferenze politiche. Inoltre, tale posizione tende comunque a rendere più profonde le divisioni etniche all’interno della società. Secondo la Corte, sia i delegati alla Casa dei popoli dell’Assemblea parlamentare della Bosnia-Erzegovina, sia i membri della Presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina devono essere eletti sul territorio dell’intero Paese, e non per territori definiti dalle entità. Essendo questi due organi politici competenti nella loro funzione per tutto lo stato, devono essere eletti in un’unica unità elettorale.

Quali possono essere il significato e le implicazioni delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle elezioni (Kovacevic contro la Bosnia-Erzegovina)? La più importante è sicuramente quella che riconosce come ogni cittadino sia libero di votare il candidato che vuole, indipendentemente dall’etnia. Per un Paese diviso in due (in tre se si tiene conto dei gruppi etnici, ma non c’è corrispondenza istituzionale fra gruppi e territorio), e con politici nazionalistici, si tratta pertanto una sentenza che stravolge l’ordinamento attuale. Sottolineare in tal modo una volta di più l’insostenibilità dell’attuale assetto costituzionale è sicuramente una buona notizia, principalmente per la libertà elettorale dei cittadini: la vera sfida sarà la sua attuazione, considerando che esistono già tante sentenze non-attuate perché manca la volontà politica di collaborare per una riforma costituzionale.
Il politico che più si oppone alle riforme è Milorad Dodik, nazionalista serbo, amico di Putin nonché del presidente serbo Vucic. Chi conosce un po’ di storia dei Balcani sa quale ruolo abbiano giocato i serbi bosniaci durante la guerra degli anni ’90 (anche se non solo i soli colpevoli di crimini di guerra e di pulizia etnica). Dodik è l’esempio calzante dell’attuale sistema in cui un politico, utilizzando la propaganda nazionalista, possa bloccare qualsiasi tentativo di miglioramento del Paese pur di difendere il proprio feudo. Le sue minacce di ricorrere alla secessione sono sempre presenti; e il suo continuo negare il genocidio di Srebrenica e di conseguenza offendere le vittime del genocidio e le famiglie persiste. Nemmeno le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei suoi confronti hanno sortito effetto: forse dipende dal fatto che l’Unione europea non si è unita ad esse? Non è facile, per l’Unione europea, avere una posizione coerente, soprattutto perché l’Ungheria, stato membro, sostiene la Republika Srpska e il suo Presidente Dodik.

La Bosnia Erzegovina è uno stato diviso: c’è bisogno di ritrovare unità – ma non va imposta dall’esterno, deve essere trovata all’interno del Paese, altrimenti non sarà sostenibile. Ed è difficile farlo quando una gran parte dei giovani lascia la Bosnia per sempre, lasciando così il futuro del Paese in mano a coloro che hanno come primo obiettivo quello di mantenere lo status quo.
Come indicato nella recente sentenza citata, devono essere i cittadini a poter decidere secondo le loro preferenze politiche e non esclusivamente in base all’appartenenza etnica. Pertanto si dovrà rompere la posizione privilegiata dei partiti etnici-nazionalisti.
L’Unione europea deve essere più decisa nel sostegno della Bosnia Erzegovina in questo processo di trasformazione che ha appena ricevuto un nuovo impulso, dopo un sostanziale stallo per gli ultimi 15 anni. Deve essere chiaro a tutti che un’adesione della Bosnia-Erzegovina all’UE sarà possibile solo come paese unito e integro, sulla base dei valori e dei principi della stessa Unione.

Avatar photo

Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.