Come agire all'orrore di Bucha
La caccia ai pacifisti e le parole inascoltate di Papa Francesco
Uccidono e violano i corpi di donne, uomini, bambini, senza neppure sapere chi sono, distruggono vite e umanità. A Bucha è sprofondata ancora una volta la guerra, trascinata ancor più nel profondo, dal venire alla luce di un orrore senza limiti, dal suo disprezzo per la vita, per le persone, per i corpi. Di fronte a questo orrore dobbiamo saper far ricorso all’umanità di ognuno di noi, è un senso di giustizia che non può mai venire meno neppure nei teatri di guerra. La guerra non giustifica il ricorso ai crimini più efferati, neppure se essa stessa è, come è, un delitto. Se il colpevole del crimine di Bucha sarà senza ragionevole margine di dubbio attribuito all’esercito russo, i responsabili dovrebbero essere condannati da un tribunale internazionale non partigiano e riconosciuto come tale.
L’orrore nella guerra dovrebbe spingere a cercare però la pace. Al contrario, se l’orribile crimine venisse volto a un ulteriore escalation della guerra, come sembra profilarsi, la pietà che le vittime reclamano sarebbe tradita. La politica internazionale si è tanto militarizzata da non vedere più la realtà della guerra dall’alto dell’umanità da essa stessa devastata in ogni direzione. Il coro delle comunicazioni di massa in Italia tende a soffocare le voci che si propongono di affermare una cultura della pace, persino la voce del pontefice viene ormai attaccata all’interno di questo coro. Fino a ieri era taciuta, oggi comincia ad essere esplicitamente contestata dai suoi autorevoli opinionisti. Eppure, l’acquisizione che non esistano guerre giuste è un approdo così decisivo nella storia millenaria della Chiesa cattolica da costituire un punto fermo nelle culture di pace nel mondo intero. Le recenti parole del Papa ne sono una lucida e drammatica conferma. Papa Francesco ha detto: “Ogni guerra nasce da un’ingiustizia, sempre”. E ha proseguito: “per esempio, fare un investimento per comperare armi – “ne abbiamo bisogno” – questo è uno schema di guerra”. “Lo schema della guerra si impone, si è imposto un’altra volta e noi non possiamo pensare a un altro schema perché non siamo abituati a pensare nello schema della pace”.
Il Papa ha quindi concluso che: “siamo tutti colpevoli”. Si tratta di una presenza straordinaria nel mondo di oggi con il radicale rifiuto della guerra. Essa risalta ancora di più alla luce della distanza delle politiche correnti, della politica, dei governi, della politica degli Stati, di quella del nostro governo, da questo orizzonte di liberazione per l’umanità intera del male della guerra. Nelle parole del Pontefice non c’è soltanto una pur gigantesca questione, quella della lotta tra pace e guerra che investe la storia stessa dell’umanità. Essa ha una ricaduta, in un senso o nel suo opposto, nella drammatica attualità della guerra scatenata dalla Russia di Putin nell’Ucraina e sul suo esito. I governi dei Paesi della Nato e d’Europa, con il quasi unanime sostegno delle forze politiche, si sono al contrario collocati all’interno delle dinamiche della guerra, fino all’invio delle armi all’Ucraina, alla scelta del riarmo e alla marginalizzazione crescente del tema della trattativa necessaria per chiudere questa guerra con il compromesso necessario.
Alla ricerca del compromesso si è sostituita, in parte persino dichiarandola, l’idea di sconfiggere nella guerra la Russia di Putin e di vedere l’autocrate abbattuto. La demonizzazione delle posizioni pacifiste tende ora a costruire un pensiero unico che comprende l’escalation del conflitto e la sua estensione con armi diverse, comprese quelle ideologiche, fino a configurare un vero e proprio conflitto di civiltà. Questo conflitto dovrebbe essere quello tra i sistemi democratici, da un alto, e quelli autocratici, dall’altro. È una tardiva riedizione di quella concezione della guerra permanente elaborata dai neoconservatori americani contro Paesi che sarebbero stati ospitati dal terrorismo islamico. La Russia di Putin dovrebbe essere abbattuta ben diversamente dal compromesso da ricercare attraverso la trattativa tra la Russia e l’Ucraina per la fine della guerra e dell’invasione. Ma il principale errore politico dei realisti è di ignorare proprio la realtà che viene coperta dalla loro propria ideologia. In essa, però, una falla si apre fin dall’inizio, giacché per mettere fine alla guerra si deve comunque, anche da parte del campo delle democrazie, far ricorso ad altri autocrati per contenerne uno, ma l’attesa di un protagonista per la mediazione, attesa ora rivolta ad Erdogan e domani, più strategicamente, alla Cina, falsifica in sé la tesi del conflitto delle civiltà.
È però soprattutto nel nuovo assetto che sta prendendo il mondo che si aprono i problemi più grandi per i Paesi della Nato e per l’Occidente. Essi si radicano nella crisi della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta e nella più destabilizzante delle incertezze nell’economia, fino allo spettro della recessione, nel problema del soddisfacimento del bisogno energetico e della rivoluzione che lo attende, nella strisciante crisi sociale che diventa sempre più acuta, proprio nelle economie più forti. La guerra, peraltro, non cancella la crisi che le democrazie stanno vivendo in Europa e negli Usa, ma i fautori del realismo nella politica, i governi europei e i sostenitori dell’assoluta inconsistenza politica del partito della pace sono costretti a nascondere persino un problema di natura geopolitica che questa guerra, invece, mette acutamente in evidenza. Da queste parti del mondo, con la propensione eurocentrica che ci è propria, si tende a far apparire come pressoché generale la denuncia e l’opposizione alla Russia di Putin che neppure viene scalfita da qualche voto, al contrario anche di qualche Paese al suo interno. Ma la scelta del mondo è assai diversa da questa.
Lo ha riconosciuto financo nei giorni scorsi un autorevole giornalista del Corriere della sera, Federico Fubini, pure impegnato come il suo giornale a sostenere la necessità del pieno sostegno all’Ucraina in guerra. Fubini ha scritto il 3 aprile: “Molto divide paesi come la Cina, l’India, il Sudafrica o la Bolivia. Ma anche una delle ragioni che tiene insieme questi e altri governi in Asia, Africa e America latina, nell’evitare ogni critica alla Russia di Vladimir Putin è la loro percezione comune dell’Occidente. Sono tutti insofferenti verso quello che considerato il dominio degli Stati Uniti e dell’Unione europea sulla globalizzazione e sulle rotte del commercio”. Peraltro, gli interessi degli Usa e quelli dell’Europa tendono a divaricarsi. Gli Usa di Biden sembrano interessati per logorare la Russia a prolungare il conflitto, per fare dell’Ucraina nei confronti della Russia quello che è stato l’Afghanistan nei confronti dell’Unione sovietica. L’interesse dell’Europa, se potesse affermarsi, sarebbe quello invece della chiusura del conflitto nel più breve tempo possibile, dunque dell’assoluta necessità della trattativa. Non è la cosa più intelligente, quindi, pretendere di contare il numero delle divisioni del partito della pace e della Chiesa da parte dei governanti europei. È invece questo il compito che li dovrebbe riguardare direttamente e in prima persona.
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