Ci sono storie che sono “capolavori” di spreco e non-sense. Condividono un fattore comune: portano la firma di quelli che dicono No, spesso a prescindere, altrettanto spesso per questioni di principio che poi si rivelano, alla prova dei fatti, dannose e controproducenti. «Abbiamo cacciato i Benetton fuori da Autostrade. Detto/fatto» hanno gridato, dopo i 40 morti del ponte Morandi, i leader del Movimento 5 Stelle di volta in volta in compagnia di chi tra le altre forze politiche spingeva di più, in quel momento, sul pedale del populismo. Dopo tre anni i Benetton sono stati in effetti cacciati e per farlo il paese ha pagato 7,9 miliardi. Ne valeva la pena?

«Nessun gasdotto per nessuna ragione mai toccherà la terra di Puglia» è stato il grido che ha portato in Parlamento, già dal 2013, molti parlamentari grillini che credevano di essere diventati “politici” e “portavoce” dando vita ai Comitati No-Tap, la Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che parte a Kipoi (confine tra Grecia e Turchia dove è collegato con un altro gasdotto), attraversa la Grecia settentrionale, l’Albania e sbuca sulla bellissima spiaggia di San Foca, cuore del Salento pugliese. Insomma una infrastruttura strategica di cui l’italiana Snam è proprietaria al 20% che non solo avrebbe messo l’Italia al centro del mercato del gas, ma ci avrebbe aiutato a calmierarne il prezzo.
Il problema di queste storie è che quando smettono, per un motivo o per l’altro, di smuovere consenso vengono dimenticate. Un peccato perché regalano una morale preziosa.

Un post del sottosegretario alle Infrastrutture Teresa Bellanova (Iv, anche Renzi e il sottosegretario Scalfarotto sono intervenuti sul punto) ha aiutato ieri a rinfrescare la memoria: il gasdotto funziona e si è confermato una infrastruttura strategica; la costa non ha subito alcun danno ambientale e i famosi ulivi, ben 200 che dovettero essere espiantati per il cantiere e poi piantati di nuovo, sono vivi e vegeti e anche gli unici, nella zona, a non aver sofferto per la Xylella. Peccato per il tempo e anche per i soldi persi. «Dicevano che avremmo distrutto la costa, sradicato gli ulivi, devastato il territorio» scrive Bellanova. «Ancora una volta il tempo ci ha dato ragione: la TAP funziona e si conferma un’infrastruttura strategica per la diversificazione energetica, il Mezzogiorno e l’Italia. Il territorio è rimasto intatto, l’ambiente è salvaguardato e tutelato, gli ulivi sono stati ripiantati, il mare, splendido, è stato premiato anche quest’anno con la Bandiera Blu». Fosse solo per il tempo perso, uno potrebbe allargare le braccia e consolarsi col fatto che ogni tanto capita di prendere abbagli.

Il dramma è che i No-Tap, complice anche qualche governo, hanno perso ben 55 milioni che, spiega Bellanova, «sono il valore degli investimenti per il territorio messi in campo dal Consorzio Tap al tempo dei governi Renzi e Gentiloni». Tap aveva acconsentito, in cambio del disturbo arrecato dal cantiere, a costruire una pista ciclabile, pagare corsi di formazione e altri interventi per il recupero di quel tratto di costa. Risorse, dice Bellanova, «volatilizzate per colpa dei signori del No per cui il-Tap né-ora-né-mai e a causa dei giri di valzer del primo governo Conte che deve ancora spiegare come e perché dai 55milioni si era passati a 30 e poi anche i 30 sono finiti nel dimenticatoio». La questione fu questa: accettare quei soldi voleva dire accettare anche l’infrastruttura. A cui poi lo stesso Conte fu costretto a dire sì. Come in seguito è successo anche per la Tav.

Un altro capolavoro di quelli-che-dicono-No e che poi restano prima prigionieri e poi vittime della loro stessa propaganda riguarda Autostrade. Il grido di guerra “fuori i Benetton da Autostrade” ha rimbombato nelle nostre orecchie in questi tre anni. All’inizio di più, col tempo sempre meno. La scorsa settimana quando “finalmente” i Benetton sono stati messi alla porta come promettevano i 5 Stelle ma anche Fratelli d’Italia e talvolta pure la Lega, il grido di battaglia è diventato flebile. Eppure doveva essere il momento dei cartelli e dello champagne in piazza. Ad esultare, invece, sono stati proprio i Benetton perché se Atlantia, società da loro controllata, ha ceduto Aspi (Autostrade per l’Italia) alla cordata guidata da Cassa Depositi e Prestiti e i fondi Macquarie e Blackstone, Atlantia, e quindi i Benetton, si ritrova in cassa 7,9 miliardi. Con la cessione dell’88% di Aspi, Atlantia ha ceduto anche l’obbligo a realizzare nuovi investimenti, opere di manutenzione e migliorie strutturali. Investimenti per miliardi di euro, già in programma e che adesso si dovranno accollare i nuovi proprietari. Tutte cose che potevano, anzi dovevano, essere realizzate in questi tre anni dove invece il grosso è rimasto congelato perché lo “Stato doveva far fuori i Benetton da Autostrade”.

Ancora una volta, ne valeva la pena? Non sarebbe stato più conveniente, dopo la tragedia del ponte Morandi, pretendere subito da Aspi titolare della concessione fino al 2038 un maggiore impegno a risarcire danni e dolore?
Quelli del No proliferano anche grazie alla giungla della burocrazia, all’intreccio di veti, autorizzazioni e permessi che non sempre sono sinonimo di interventi produttivi e nel rispetto dell’ambiente. Un paese veramente semplificato, cioè deburocratizzato, dovrebbe diventare ostile alle mafie e ai clan. Ma anche a quelli del No.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.