Come un fiore che cresce nel cemento, solo, sfidando il vento, il freddo e le suole di chi lo calpesta. Così Don Maurizio Patriciello non cede ai colpi sferrati dalla mano violenta della camorra. Non si piega. Resta dritto. Unico fiore in un cemento di indifferenza e assenza. Siamo al Parco Verde di Caivano, uno dei territori martoriati dalla criminalità organizzata. È sabato notte quando un ordigno esplode davanti al cancello della chiesa di San Paolo Apostolo, parrocchia guidata da Don Patriciello. Domenica la messa e un fiume di solidarietà per il prete vittima di minacce, poi la telefonata del capo dello Stato Sergio Mattarella.

Tutto bello, se non fosse che nei restanti giorni sono tutti assenti e la Chiesa di Don Patriciello è l’unico presidio di legalità in quel posto. Lo Stato non c’è, non entra in quelle zone, ci passa, le sfiora quel tanto che basta per far vedere che esiste, passerelle inutili. E così ieri è arrivato l’annuncio del prete: «Ho firmato il mio testamento». Non abbassa la testa Don Patriciello, ma la paura che qualcosa di ancora peggiore possa accadere c’è. L’omertà e la paura per il momento la fanno da padrone e così ancora nessuno ha fornito informazioni utili alle indagini per risalire al colpevole del gesto. «Abbiamo messo tutto in conto quando siamo diventati sacerdoti, continuo per la mia strada – ha spiegato Don Patriciello – Alcuni camorristi pensano che dovrei limitarmi a celebrare messa e benedire i loro figli quando vengono uccisi. Non è così, continuo il mio percorso mentre da queste parti continuano le “stese” di giovani pistoleri che terrorizzano i residenti a colpi di kalashnikov. Per quanto mi riguarda – ha concluso il prete di Caivano – se avessi voluto una vita comoda non avrei fatto il prete. Sono solo un povero parroco che annuncia il Vangelo».

È la risposta ai Don Abbondio delle chiese di Napoli, lui prete di frontiera in strada per difendere i deboli dagli oppressori, il Fra Cristoforo dei nostri giorni che non si tira indietro e combatte la violenza. È ciò che ha fatto e continua a fare senza sosta Don Luigi Merola che per quindici anni ha combattuto la camorra a Forcella, terra di nessuno e della malavita, anche lui ha subito minacce di morte e intimidazioni. «I sacerdoti come me o Don Maurizio sono disposti anche a dare la vita pur di combattere il male – afferma – Don Maurizio vive il territorio, conosce il dolore della gente, quel dolore che la politica ignora». Sì, perché lì lo Stato non esiste, a poco servono le operazioni passerella dopo eventi che suscitano clamore mediatico. Due settimane di controllo assiduo del territorio e poi si prosegue con operazioni ad “alto impatto” sporadiche.

«Lo Stato deve essere presente non solo nell’emergenza ma con un progetto a lungo termine – afferma Don Luigi – Lo Stato si limita a mandare forze di polizia, noi abbiamo bisogno di un esercito, ma di un esercito di educatori, assistenti sociali. La repressione non può essere l’unica arma, non può limitarsi a mandare momentaneamente qualche poliziotto in più. Il prefetto valuti la situazione e metta all’ordine del giorno di occuparsi di questo territorio. Se ancora esiste un’agenda della politica si occupino di questo». Si occupi di non lasciare soli i Fra Cristoforo che sfidano il male che qui ha un nome: camorra. «La camorra conosce il territorio meglio dello Stato, ecco perché succede questo – conclude l’ex sacerdote di Forcella – La gente deve capire che solo insieme possiamo combattere la camorra. Se siamo tanti, siamo forti. Non bisogna avere paura, altrimenti vinceranno sempre loro. Non basta più la telefonata di rito delle istituzioni, bisogna intervenire subito. La chiesa ha bisogno di più Don Patriciello. Solo così non ci saranno più le bombe della camorra».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.