La campagna libica di Draghi: esautora Di Maio ma dimentica i diritti umani

Aver scelto la Libia per il suo primo viaggio all’estero da presidente del Consiglio, ha per Mario Draghi una doppia valenza politica: riaffermare la centralità del Mediterraneo nella politica estera dell’Italia e confermare, se ce ne fosse ancora bisogno, che proprio perché centrale, il premier ha di fatto “commissariato” il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio. Certo, Di Maio ha accompagnato Draghi, e ci mancava pure che lo lasciasse a casa, ma il messaggio è chiaro: sulle questioni che contano, sui dossier che scottano, la partita la gioca Super Mario mentre il giovane Luigi sta in panchina.

E la Libia per noi è davvero cruciale. «È un momento unico per la Libia, c’è un governo di unità nazionale legittimato dal Parlamento che sta procedendo alla riconciliazione nazionale. Il momento è unico per ricostruire quella che è stata un’antica amicizia». Così Draghi nelle dichiarazioni congiunte con il Primo Ministro libico Abdulhamid Dabaiba da Tripoli. «Un requisito essenziale – rimarca il premier italiano – per procedere con la collaborazione è che il cessate il fuoco continui». «È un momento unico per guardare al futuro e per muoversi con celerità e decisione. C’è la volontà di riportare quello che era l’interscambio culturale ed economico con la Libia ai livelli di cinque, sei, sette o otto anni fa e la conversazione di oggi mi assicura che si vuole anche superarlo», spiega Draghi.

«È stato un incontro straordinariamente soddisfacente. Abbiamo parlato della cooperazione in campo infrastrutturale, energetico, sanitario e culturale. L’Italia aumenterà le borse di studio per gli studenti libici e l’attività dell’Istituto di Cultura italiano». «Si vuole fare di questa partnership una guida per il futuro nel rispetto della piena sovranità libica», aggiunge. «Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia. Ma il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario e in questo senso l’Italia è uno dei pochi Paesi che tiene attivi i corridoi umanitari”.

Morale geopolitica della visita: il futuro? È un ritorno al passato. Si deve ripartire dall’accordo di amicizia del 2008, quando al potere del Paese nordafricano c’era ancora Muammar Gheddafi, per ricostruire una forte alleanza tra Roma e Tripoli e sperare in una rapida rinascita e crescita della Libia che riporti l’Italia a essere, come all’epoca del Rais, uno degli attori con la maggiore influenza nel Paese nordafricano. Una riabilitazione politicamente postuma del Cavaliere Berlusconi. La volontà di sfruttare il momento storico che appare favorevole a una pacificazione anche sul terreno viene più volte rimarcata dai due premier. La presa di coscienza da parte dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, che una fine del conflitto sia possibile solo con un accordo politico e non con una mossa militare ha frenato le ambizioni di conquista dell’uomo forte di Bengasi.

Inoltre, la creazione di un nuovo governo, condiviso dalla maggior parte degli attori in campo, risarcisce la spaccatura formata dall’instaurazione dell’ex esecutivo tripolino guidato da Fayez al-Sarraj, che molti gruppi locali avevano visto come un’imposizione e che più volte hanno tentato di sconfiggere. Oggi, con le elezioni fissate per dicembre e con l’apparente disponibilità dei principali attori impegnati nella lotta di potere scatenatasi già dal 2011, anche Draghi è concorde sul fatto che questo, come rimarcato nella dichiarazione finale, «è un momento unico per la Libia, c’è un governo di unità nazionale legittimato dal Parlamento che sta procedendo alla riconciliazione nazionale. Il momento è unico per ricostruire quella che è stata un’antica amicizia».

Un’amicizia che Draghi rilancia con la diplomazia degli affari. Tra questi, la ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli, da alcuni anni semidistrutto e in gran parte inattivo, che dovrebbe essere affidata al consorzio di aziende italiane Aeneas (il consorzio avrebbe dovuto cominciare la ricostruzione tre anni fa, ma l’opera fu interrotta dalla guerra civile) e il sostegno alla costruzione di una lunghissima autostrada costiera che dovrebbe attraversare il paese e collegare il confine egiziano a quello tunisino (la costruzione dell’autostrada fu promessa da Silvio Berlusconi al Colonnello Gheddafi ma fu realizzata solo in piccola parte). Ma la diplomazia degli affari non s’intreccia con quella dei diritti umani. Tema, quest’ultimo, che per Draghi, come è stato per i suoi predecessori a Palazzo Chigi, resta un corollario. Qui l’ex presidente della Bce scivola, e di brutto, spingendosi, sulla questione dell’immigrazione, fino al punto di fare i complimenti alla Libia per i “salvataggi in mare”, uscita che gli è già costata alcune critiche visti i numerosi episodi di violenza da parte della Guardia Costiera di Tripoli e in special modo all’interno dei centri di reclusione dove i naufraghi vengono sistematicamente riportati e dove si continuano a registrare casi di tortura e uccisioni.

«Il problema dell’immigrazione per la Libia – ha proseguito il presidente del Consiglio – non nasce solo sulle coste libiche ma si sviluppa sui confini meridionali della Libia e c’è un dialogo per aiutare il governo libico anche in quella sede. Terrorismo, crimine organizzato e traffico di esseri umani sono questioni comuni tra di noi che dobbiamo risolvere insieme, lavorare insieme per trovare meccanismi pacifici». Il primo a rispondere è stato il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: «Draghi esprime soddisfazione per il lavoro della Libia sui salvataggi? Evidentemente gli sfugge la differenza tra salvataggio e cattura. In Libia i migranti vivono in condizioni inumane e atroci, come confermato da tutte le organizzazioni internazionali. Esprimere soddisfazione per il lavoro della Libia su questo fronte mi pare francamente inaccettabile».

Dello stesso avviso il deputato Pd Matteo Orfini: «Significa dirsi soddisfatti della sistematica violazione dei diritti umani». Tra le fila dei dem è critica anche Laura Boldrini: «L’Italia deve contribuire alla stabilizzazione e alla pace della Libia, dopo la terribile guerra civile fomentata anche da potenze straniere. Grave che Draghi abbia ignorato le violenze e le torture, subite dai migranti nei campi di detenzione, denunciate dall’Onu». Riccardo Magi, radicale di Più Europa sottolinea che «Il futuro di stabilità e benessere di cui ha parlato Draghi a Tripoli non può essere costruito sulla base dei fallimentari accordi Italia-Libia del 2017, che hanno contribuito a rendere sistematiche le violazioni dei diritti umani. Quei patti vanno profondamente rivisti, vorremmo sentire parole chiare da parte del governo anche su questo».

Va giù duro Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty International Italia: «Salvataggi e Guardia costiera libica sono un ossimoro – dice a Il Riformista -. Quello che è noto a tutti è che la Guardia costiera libica, grazie al rafforzamento della sua capacità operativa da parte dell’Italia, negli ultimi cinque anni ha riportato in Libia decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo. Ammesso che li abbia salvati da una morte in mare, li ha consegnati in buona parte a un rischio elevato di morire in terra libica. Per la tutela dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo in Libia tutto ci vorrebbe meno che complimentarsi con le autorità di quel Paese». «Amnesty International – sottolinea ancora Noury – continua a sostenere che i centri di detenzione in Libia debbano essere evacuati. E che l’Italia debba avere un ruolo in questa operazione. Quanto poi al tema dei corridoi umanitari, pur potenzialmente importante non può sostituire la necessità di togliere al più presto queste persone dai luoghi di violenza, tortura, stupri e schiavitù».