La notizia è che le anziane “signore del clima hanno scritto una pagina di storia. Si può quindi ricorrere a cuor leggero all’inflazionato aggettivo “storico” per classificare il verdetto della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Verdetto che ha dato ragione ad un gruppo di agguerrite ambientaliste – 2.400 signore svizzere anziane – riconoscendo che il loro paese non aveva fatto abbastanza per combattere il cambiamento climatico e l’inquinamento da gas serra. Cosa che le ha esposte a un rischio maggiore di morte a causa delle ondate di caldo, diventate, negli ultimi anni, più ‘spietate’ e più frequenti.

Si tratta di un “caso” emblematico che, da una parte, rappresenta un importante precedente, destinato a cambiare il modo in cui i tribunali internazionali affronteranno nel futuro le cause relative alla crisi del clima. E dall’altra, segna alcuni passaggi importanti come la mobilitazione per la salute di una categoria inedita, del tutto assente dalla scena nel passato, cioè un gruppo di donne avanti con gli anni. E, ancora, il fatto che la giustizia climatica sia stata richiesta alla Corte dei diritti umani e che i diciassette giudici abbiano accolto proprio quella che riguarda le condizioni meteorologiche estreme tra le tre proposte, avanzate da gruppi separati di attivisti climatici che riguardavano inondazioni, incendi e clima.

Le richieste irricevibili

Una posizione significativa e piena di implicazioni, dato che CEDU respinge ordinariamente il 90 per cento circa di tutte le richieste pervenute, giudicandole irricevibili: la spinta impressa ai casi climatici dimostra tutta la loro urgenza. Confermando, anche, semmai ce ne fosse bisogno, la centralità del diritto alla vita e alla libertà su un pianeta in cui non sia messa a rischio la sopravvivenza.
Il verdetto – non appellabile – sulla causa presentata da Klima Seniorinnen insiste sull’obbligo dei governi di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi centigradi rispetto al mondo pre-industriale, così da tutelare i diritti umani, minacciati da limiti superiori. Della portata della minaccia del caldo estremo, reso più probabile dal cambiamento cambiamenti climatici testimoniano i dati disponibili per il 2022, l’anno in cui in Europa (in particolare a luglio, il mese più torrido mai registrato a livello globale) ha provocato 61000 morti, stando ai dati forniti in un articolo su Nature Medicina dai ricercatori dell’Istituto di Barcellona per la salute globale.

Il caldo uccide

Il caldo – killer silenzioso – uccide, si sa. Lo ha fatto in quella torrida estate in molti paesi europei e in particolare in Spagna, Portogallo, Germania, Francia, Regno Unito, Grecia e nel nostro Belpaese, dove i “morti di caldo”, dal 30 maggio al 4 settembre 2022, sono stati ben 18010. Le due tremende ondate di calore che hanno tramortito l’Italia da metà luglio a metà agosto hanno prodotto in generale un incremento della mortalità, con una percentuale di crescita del 29 per cento nella classe di età al di sopra dei 65 anni nella prima metà del mese di luglio, raggiungendo picchi del 36 per cento nella seconda metà. E non occorre rifarsi all’asciutta evidenza di numeri e percentuali per affermare che le politiche climatiche espongono i più fragili anche ad una sequela di problemi di salute: colpi di calore, disidratazione, aggravamento di patologie preesistenti come patologie cardiache e immunitarie.
Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia reale per la salute e il benessere, e richiede soluzioni la cui implementazione esige un coordinamento a livello di governi e istituzioni. Il verdetto di Strasburgo è l’ultimo avviso.

Eugenia Tognotti

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