Il New York Times, quotidiano che con formula stereotipata è definito il più prestigioso del mondo, ha già dovuto chiedere scusa per aver fatto mala informazione quando, a metà di ottobre dello scorso anno, diede troppa corda alla propaganda palestinese secondo cui Israele avrebbe bombardato un ospedale facendo 500 morti.

Il giornale statunitense – diversamente rispetto a certi nostri fogliacci, che propalarono la bufala in modo anche più disinibito – si scusò con i propri lettori perché aveva confezionato titoli e testi in modo tale da farvi affogare il dato essenziale, e cioè che quella era soltanto la versione – non verificata – palestinese. La quale, peraltro, di lì a poche ore si rivelava doppiamente falsa: in primo luogo perché non si trattò di un attacco israeliano, ma di un missile palestinese; e poi perché i morti non furono 500, ma alcune decine.

L’altro giorno il medesimo New York Times – non saziato dal recente exploit di pornografia dell’atrocità che metteva in prima pagina la foto di un bambino palestinese con le braccia amputate – ha fatto qualcosa di peggio. Perché in quel caso dell’anno scorso, relativo a quell’ospedale, si limitava dopotutto a rendere torbido il quadro della verità, mentre in quest’altro lo rivernicia proprio di falso. Discutendo del fronte libanese del conflitto, infatti, ha creduto bene di scrivere che vi si sarebbero registrati 3.800 morti, gente uccisa da “bombardamenti e operazioni di terra” dell’esercito israeliano. Una notizia credibile, per quanto non verificata, se non fosse stata distorta da un titolo malizioso circa una presunta impennata di morti tra la popolazione civile (“A rising civilian toll”), riferita ancora a quel numero (3.800).

Il guaio, si fa per dire, è che neppure Hezbollah ha sostenuto che si trattasse di civili, anzi altre fonti dicono che Hezbollah stessa avrebbe perduto 4.000 miliziani. È esattamente ciò che succede a proposito dei morti di Gaza, con i distributori delle contabilità ballerine di Hamas che superano allegramente le disinvolture statistiche della “fonte”: di modo che, puntualmente, se il 7 ottobre di quest’anno il Ministero della Salute di Gaza parla di 42 mila morti, ecco il nostrano giornalista coi fiocchi che parla di 42 mila civili morti, o il governatore di Regione che parla di 50 mila morti “di cui il 90% sono civili”, per non dire dell’ex ministro che parla di 100 mila morti e buonanotte.

Solo che, appunto, se lo fa un giornale provinciale, per quanto sussiegoso, di un Paese senza nessun peso come l’Italia, è un conto; se lo fa qualche scappato di casa issato non si sa come al potere legislativo è un conto; se lo fa un segretario di partito politico in carriera polarizzata Lugano-Grande Raccordo Anulare è un conto. Ma se lo fa un giornale tanto importante, anzi il più importante di tutti, è proprio tutt’altro conto. Se poi l’operazione è condotta non già sulla scorta di una notiziola qualsiasi, bensì a copertura di una vicenda bellica che percuote drammaticamente la stabilità del Medio Oriente, con capacità di ripercussioni incalcolabili, ebbene capisce chiunque che la cosa non è esattamente dappoco.

Certo, non è la fine del mondo se il più importante quotidiano del mondo si comporta come la redazione di un collettivo engagé che passa (ritoccandole, oltretutto) le veline da tunnel. Ma diciamo che è un buon passo verso la fine di quel che ci si aspetterebbe da questa cosa un po’ in desuetudine che è un’informazione appena decente. Dire “l’ho letto sul New York Times” rischia ormai il rango della battuta.