La Chiesa parla di giustizia sociale, ma l’obiettivo è Papa Francesco

La Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da mons. Vincenzo Paglia, osa parlare di pandemia, sistemi sanitari, eguaglianza nelle cure, giustizia sociale? E allora sui siti cattolici conservatori si scatena il pandemonio. Aprono il fuoco dagli Usa i commentatori di Church militant (ahimé, proprio così!) secondo i quali in Vaticano oramai «Dio sarebbe morto» e proseguono i siti spagnoli e poi giù fino ad alcuni epigoni italiani. Ma quale è la colpa commessa? Non una, ma diverse! Prima di tutto quel titolo del documento: L’Humana Communitas nell’era della Pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita. Apriti cielo: inserire «inattuali» in un titolo. È la prova provata che dopo i massoni adesso il Vaticano sdogana i nichilisti perché chiaramente dopo Nietzsche, nessuno può usare il termine «inattuali» per indicare qualcosa che non è di moda. A nulla serve che lo stesso mons. Paglia abbia spiegato il senso dell’espressione: «qui la impieghiamo, con un po’ di provocazione, per indicare l’urgenza di ritrovare un pensiero della comunità che, a quanto sembra, non è più di moda».

Il secondo peccato è mortale più del primo: nel testo nessuno ha trovato le parole-chiave che si aspettava. Non si cita Dio, Gesù e tantomeno si parla di fede ma di giustizia, senso della vita, sistemi sanitari, necessità di prendersi cura dei deboli. Sui siti conservatori cattolici e soprattutto sui social, twitter in testa, apre le porte il circo del dileggio. E pure qualche risposta ufficiale da parte della Pontificia Accademia (fatto nuovo, questo sì) ha provocato ulteriori furori. Stato di salute: fibrillazione acuta. Per il mondo cattolico conservatore ci sono discorsi impensabili: non si parla di temi sociali; non si dialoga con settori importanti della società contemporanea; non si entra nel dibattito economico e sociale che tocca la vita di miliardi di persone perché, come dicono da Chiesa militante, questo è «un virus cinese». La giustizia sociale non fa parte del vocabolario del Vangelo, come se Gesù non avesse guarito, risanato, contestato scribi e farisei.

Quando invece la Chiesa – con Papa Francesco soprattutto – declina il Vangelo con i temi della vita in senso ampio e globale, con la giustizia e l’economia, si apre il fuoco conservatore a difesa di interessi industriali e finanziari consolidati. I sistemi sociali non si toccano e non si discutono e oggi la divaricazione e la polarizzazione sono forti più che mai e ritorna in auge una politica che strumentalizza la religione in Occidente (elezioni Usa) e in Oriente (vedi Turchia). A maggior ragione non si tollera una Chiesa in dialogo e non arroccata, attenta, capace di analisi critiche verso l’assetto economico-sociale esistente.

Via twitter si gettano slogan, è impossibile criticare nel merito i contenuti di un testo articolato come quello prodotto dalla Pontificia Accademia per la Vita. Lì non si parla di Dio? In realtà neanche questo è vero. Il documento del 22 luglio è stato preceduto da un primo testo del 30 marzo; e il 22 luglio il titolo parla di «Humana Communitas» che è esattamente la Lettera inviata nel 2019 da Papa Francesco alla Pontificia Accademia per la Vita, in cui delineava le linee future di azione, radicate nel Vangelo, nel Magistero (pardon: la Tradizione), la Dottrina sociale. Niente da fare; i puristi dell’analisi linguistica non demordono: un documento vaticano deve per forza citare Dio, Gesù, la fede. Nella furia iconoclasta – sempre molto facile – si scredita e si distrugge per impedire di riflettere su dove davvero stia andando il nostro pianeta. Chi vuole impedire di riflettere sarà al servizio di qualche potere forte? Domanda più che legittima vista la coordinazione tra siti italiani, Usa, spagnoli, che hanno ripetuto in fotocopia le medesime accuse.

La Pontificia Accademia per la Vita, con la sua rete di 162 Accademici nel mondo, sopravviverà a questa piccola mareggiata. La Chiesa ne esce più in difficoltà. Proprio perché la disinformazione è organizzata e finanziata, la Chiesa a tutti i livelli dovrebbe rendersi conto del ritardo accumulato dal punto di vista mediatico e non dovrebbe lasciare troppo campo ai conservatori, magari sconfessando la loro pretesa di essere «ipercattolici». E poi sarebbe utile inviare messaggi in maniera coordinata e sinergica, perché annunciare il Vangelo declinando le situazioni concrete di vita, sarebbe lo scopo del fare «chiesa» per dare un messaggio di speranza, oggi indispensabile.