Ieri al Palazzo di Vetro, nell’elegante salone del Consiglio economico e sociale dell’Onu, la Cina ha avviato ufficialmente la sua offensiva diplomatica contro le politiche tariffarie dell’amministrazione Trump. All’incontro sono stati invitati tutti i 193 Paesi rappresentati nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonché quelli con lo status di osservatore. L’obiettivo esplicito del meeting è stato quello di allargare lo schieramento dei Paesi che si oppongono alle politiche protezioniste degli Stati Uniti, con particolare attenzione a quelli in via di sviluppo. L’ambasciatore cinese all’Onu ha aperto l’appuntamento sottolineando i grandi benefici indotti dai processi di globalizzazione, l’esigenza di sviluppare ulteriormente i liberi commerci e potenziare le istituzioni multilaterali, quali l’Organizzazione mondiale del commercio. Non sorprende che l’approccio di Pechino goda del pieno appoggio di Paesi come la Russia, l’Iran, il Venezuela, il Pakistan, la Cambogia, la Malesia, l’Algeria, l’Eritrea e Cuba.

Tuttavia nell’occasione si è registrata una rilevante novità politica rappresentata dal sostegno alle posizioni cinesi dei Paesi del Golfo (Saudi Arabia, Emirati, Kuwait e Bahrain). E altre nazioni potrebbero seguire. È presto per comprendere se Pechino riuscirà ad allargare effettivamente e in modo significativo la sua sfera di influenza. Ma la riunione di ieri è un campanello d’allarme che Washington non deve sottovalutare.

I dazi di Trump hanno irritato il mondo e sono destinati a trasformarsi in un boomerang per la stessa economia americana. Appare davvero paradossale che i princìpi della concorrenza libera e leale siano oggi valorizzati dalla Cina, un Paese che negli ultimi 20 anni ha impedito alle imprese straniere di investire liberamente sul territorio, ha manovrato a suo piacimento la propria moneta per fini politici, nonché sussidiato in modo opaco e cospicuo i suoi grandi colossi industriali statali e non.

L’auspicio è che il presidente del Consiglio Giorgia Meloni – proprio per la sua relazione privilegiata con Trump – si appelli pubblicamente agli Usa perché non ci trascinino sull’orlo del baratro. La strada che hanno imboccato è quella di un protezionismo suicida che, invece di “rendere nuovamente grande l’Occidente”, può causare all’inverso il suo rapido declino.