La Cina di Xi Jinping ama talmente tanto la Russia che vorrebbe ce ne fossero due

Sono in corso due partite entrambe roventi: quella della diplomazia e quella dell’artiglieria. La partita diplomatica è a New York, dentro e fuori il Palazzo dell’Onu. Quella delle bombe si gioca sia sul confine fra Libano in mano agli Hezbollah e Israele; sia sul doppio fronte che va dall’insanguinato Donbass all’oblast di Kursk in Russia, dove la brigata di spedizione ucraina è sotto pesante contrattacco.

I russi vogliono ad ogni costo di vite umane e mezzi avanzare prima che cadano le foglie che costituiscono il camouflage naturale della fanteria. La novità è che Francia e Stati Uniti, da tempo in gelo, hanno ripreso ad amarsi, e i due presidenti si sono incontrati e hanno espresso posizioni molto esclamative anche se poco impegnative. Resta il fatto che Biden teme l’escalation, mentre Macron vorrebbe “vedere il bluff” di Vladimir Putin e delle sue linee rosse.

Il legame speciale tra Cina e Francia

Quanto al Medio Oriente, Francia e Stati Uniti sanno che in questo momento né Israele né Hezbollah hanno interesse a cercare una tregua e Netanyahu conta sul fatto che il governo iraniano non ha intenzione di far nulla per alleggerire la pressione israeliana sugli sciiti libanesi. Tutt’altra storia per quanto riguarda la guerra in Ucraina che vede un’impennata sia dei combattimenti che delle minacce verbali. E sullo sfondo, nominato da Macron, il coprotagonista muto, la Cina di Xi Jinping il quale ha un legame speciale con l’Eliseo dove non si fa mistero di inseguire il sogno gollista di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, inglobando la Russia europea dopo averla separata dal corpaccione asiatico, che costituisce il sogno espansionista cinese.

Putin ha perfettamente ragione quando dice che in Occidente c’è chi vuole mandare in frantumi la gigantesca e multietnica Federazione Russa. Inoltre, la Cina sostiene solo formalmente la Russia e vede come il fumo negli occhi la resa dell’Ucraina perché teme di perdere il diritto ad occupare Taiwan, formalmente cinese ma di fatto indipendente. Sull’idea francese di far cadere Putin attraverso la sconfitta e poi smembrare la Russia, l’America non è assolutamente d’accordo, memore della frustrante e costosa lezione dello sembramento degli imperi dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale.

Per comprendere la guerra delle parole che precede quella delle armi, è bene ricordare la posizione espressa da Putin e ribadita in buon inglese dal suo ministro degli Esteri Sergej Viktorovic Lavrov: quando l’Occidente rappresentato da Stati Uniti, Regno Unito e Francia parla di consentire agli ucraini l’uso dei missili a lungo raggio, omette di chiarire – dice Putin – perché una tale decisione determinerebbe lo stato di guerra fra Nato e Russia. Il motivo, ha spiegato il Presidente russo, sta nel fatto che i missili a lungo raggio funzionano guidati dai satelliti militari occidentali, manovrati soltanto da personale militare dei paesi della Nato. L’uso dei missili, dunque, vedrebbe l’impiego operativo di personale della Nato e non ucraino. Di qui la minaccia nucleare, spiegata da Putin in televisione: “Non lanceremmo bombe atomiche sull’Ucraina, ma useremmo missili atomici per colpire e distruggere nello spazio i satelliti che guidano i missili a lungo raggio”.

Il “bluff” di Putin

Questa prospettiva di escalation militare russa è da molti, fra cui Macron, considerata un bluff, mentre Biden la considera pericolosamente realistica. E questo è il motivo per cui Biden ha accettato di sottoscrivere una dichiarazione di principio a favore dell’Ucraina, ma senza autorizzare l’uso dei missili a ungo raggio. Ma dietro questo risultato c’è la Cina, che Macron cita con frequenza: il Presidente francese ha sempre ribadito il desiderio a lungo termine della Francia di realizzare il vecchio sogno di De Gaulle. La novità diplomatica sta nel riavvicinamento, fino alla stretta di mano, tra il francese Emmanuel Macron e l’americano Joe Biden, che è agli sgoccioli ma ancora regnate fino a gennaio. Macron è interventista a favore dell’Ucraina, mentre Biden viaggia col freno a mano tirato perché non vuole concludere il suo mandato muovendo un ulteriore passo verso il possibile baratro.

Il baratro è per ora nelle parole dell’escalation: lo spettro nucleare continuamente agitato da Putin e dal ministro degli Esteri russo. Ma Macron è riuscito a spingere Biden fino a compromettersi un po’ più nettamente – in fondo non teme le elezioni dalle quali si è escluso – senza autorizzare l’uso in Ucraina di missili americani, inglesi e francesi di lungo raggio per colpire all’interno della Russia, le basi dalle quali partono i missili diretti in Ucraina. Biden  insomma ha convenuto con Macron che sia il caso per le potenze occidentali di metterci un po’ più d’animo e dichiarare in pubblico che l’Ucraina indipendente e invasa non sarà abbandonata e che la Russia deve mettersi in testa che non potrà vincere questa guerra. Questa posizione congiunta rinnova lo spirito del precedente incontro tra Macron e Biden il 9 giugno scorso in Normandia per celebrare la ricorrenza del D-Day del 1944, quando il corpo di spedizione angloamericano sbarcò in Francia per liberarla e prendere la via di Berlino.