Il Gip di Messina ha di recente archiviato l’inchiesta sugli ex pm di Caltanissetta Carmelo Petralia e Annamaria Palma accusati di calunnia aggravata in concorso nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Ciò ha creato un forte dissenso da parte della Commissione Antimafia siciliana presieduta da Claudio Fava che per questo ha deciso di usare i suoi poteri per continuare le indagini e allargarle allo scenario generale in cui avvenne il “più grande depistaggio della storia d’Italia”. Infatti la commissione da martedì scorso ha aperto i nuovi lavori e tra gli altri ha indicato il giornalista Enrico Deaglio per una audizione. È stato ascoltato con molta attenzione, gli sono state rivolte domande pertinenti, ha consegnato documentazione che gli era stata richiesta, e indicato altre persone “informate sui fatti” che possono essere utili all’inchiesta.

La Commissione ha in programma di lavorare per i prossimi mesi, rendendo pubbliche le sue acquisizioni e naturalmente rendendo note alle competenti procure le notizie di reato di cui eventualmente verrà a conoscenza. La notizia non può non far piacere a Fiammetta Borsellino, che sulle pagine de Il Riformista si è detta amareggiata per la frettolosa archiviazione della posizione dei due magistrati e soprattutto per l’indifferenza del Consiglio superiore della magistratura che non ha dato seguito al suo esposto. Se da una parte è positivo il fatto che ci sia la voglia di non far cadere nell’oblio il depistaggio e le anomalie tecniche, giuridiche e valutative che hanno visto protagonisti i magistrati coinvolti nella gestione dell’ex falso pentito Vincenzo Scarantino, dall’altra c’è però il rischio che la commissione antimafia siciliana – non volendo – faccia un remake del processo sulla Trattativa.

Un indizio proviene proprio dal giornalista Deaglio. Il quale ha scritto pubblicamente un post su Facebook nel quale ha spiegato che è stato convocato da Fava in merito alle ricostruzioni elaborate in due suoi libri, Il vile agguato del 2012 e Patria 2010-2020. Sia chiaro, va dato atto a Deaglio che è stato uno dei pochi a capire fin da subito che Scarantino era inattendibile. Recentemente, nel suo ultimo libro, ha anche criticato aspramente il lavoro di magistrati come Nino Di Matteo per la gestione del processo Borsellino. Ha perfino scritto, con grande onestà intellettuale, che per lui il processo Trattativa è “sgangherato”. Il problema è che nello stesso tempo affronta questioni che la sentenza di primo grado sulla trattativa Stato mafia ha preso in realtà molto in considerazione.

Deaglio sa raccontare, è un maestro nella scrittura, ma ha il difetto di essere impreciso per quanto riguarda queste tematiche e, in sostanza, avvalora la tesi di Di Matteo e colleghi. Solo a titolo esemplificativo, nel libro Il vile agguato parla anche dei mafiosi che svuotano il covo da dove è uscito latitante per l’ultima volta Riina. A pag. 61 scrive della “cassaforte divelta”, come anche altri in realtà avevano scritto in precedenza. La logica ci fa porre una domanda: che bisogno c’era di svellere dal muro la cassaforte, non bastava portarsi via il contenuto? Infatti la cassaforte sta ancora lì. Un dettaglio, ma utile per far capire che i libri non possono essere fonte di prova per una indagine. Quindi ci si augura che la Commissione vada direttamente alle fonti originali, tipo le sentenze definitive, dove facilmente si può ricostruire la verità oggettiva dei fatti.

Per questa e altre ragioni, la commissione antimafia presieduta da Claudio Fava rischierebbe di prendere un granchio e avvalorare la tesi sulla trattativa stato mafia. Basterebbe acquisire tutta quella documentazione prodotta nel processo d’appello trattativa dall’avvocato Basilio Milio, legale dell’ex ros Mario Mori. Solo così, si potrà avere una visione a 360 gradi di queste tematiche. Ci permettiamo un consiglio non richiesto. Parliamo di tematiche trite e ritrite che rischiano di “depistare” dai fatti concreti, razionali, quelli che si toccano con mano. Sarebbe il caso di non spostarsi troppo dai fatti tragici del 1992, partendo dalle indagini che stava svolgendo Paolo Borsellino finalizzate a rendere giustizia al suo fraterno amico Giovanni Falcone. I suggerimenti sono indicati dalla stessa sentenza sul depistaggio, il Borsellino Quater.

L’accelerazione dell’attentato è dovuta al suo interessamento al dossier mafia appalti. Suggerisce anche di andare a vedere che problematiche c’erano state all’interno della procura di Palermo. A tal proposito, sono molto utili i verbali delle audizioni al Csm risalenti a poche settimane dopo la strage del 19 luglio del 1992. Sono stati sentiti tutti i magistrati e vengono fuori questioni inedite. A partire dall’ultima riunione della Procura di Palermo dove partecipò Borsellino. Possibile che non si riparta da lì? La magistratura non l’ha fatto, nonostante i verbali del Csm siano stati di recente depositati al processo d’appello sulla trattativa. La commissione antimafia ha un senso solo se si occupa delle questioni ancora non vagliate fino in fondo e che gridano vendetta nella completa indifferenza. Altrimenti, non volendo, si rischia di essere alleati dei propri becchini.