La narrazione cattiva scaccia quella buona nella maggior parte dei casi
La comunicazione politica è una big babol che si appiccica ai leader per sempre
La rubrica “Social spin” di Domenico Giordano, spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore
Mi è capitato in più di una circostanza sentir dire, in occasione di incontri e convegni accademici o di partito, che la comunicazione politica è già di per sé politica. Un’affermazione, detto sinceramente, che non solo condivido, ma che spesso riutilizzo all’occorrenza per far comprendere ai candidati quanto oggi nelle società iperconnesse la comunicazione e il valore percettivo della stessa, non possa essere più considerato un’ancella o, come si diceva un tempo in cui la conoscenza di alcuni autori legittimava l’autorevolezza del nostro parlare, una sovrastruttura per chi “fa” politica.
La (capacità di) comunicazione anticipa la (capacità di far) politica.
Solo che l’altro giorno mi è capitata nel feed di Facebook una delle ultime “frasi di Osho”, al secolo Federico Palmaroli, postata per commentare con la giusta dose di brillante sarcasmo e realismo da marciapiede tipica del personaggio, la débâcle elettorale del Partito Democratico alle amministrative di maggio e si è subito spalancata nella parete una nuova porta: la comunicazione politica, buona o cattiva che sia, è la big babol dei leader e dei politici. Adesso, per chi come me appartiene alla Generazione X, non per colpa dei genitori ma per responsabilità unilaterale dello scrittore canadese Douglas Coupland che l’ha coniata per titolare il suo romanzo d’esordio, sa bene che queste erano le gomme da masticare lanciate sul mercato dalla Perfetti nel lontano 1978. Divennero subito famosissime, perché promettevano di fare bolle grandi, anzi “grandissime”, come ripeteva nello spot televisivo Daniela Goggi, e quando poi scoppiavano i filamenti elastici della gomma ti restavano appicciati sulle guance, sulle labbra e sul viso.
Lo stesso effetto, molto spesso sotto stimato e altrettanto spesso colpevolmente rimosso dai leader o dagli staff di consulenti, lo produce parimente anche la comunicazione politica, a maggior ragione nel tempo della società digitale, con la bolla della polarizzazione che si gonfia, esplode, poi si sgonfia e si appiccica al leader, per sempre. Così mi soffermo sul meme di Osho in cui Enrico Letta suggerisce a Elly Schlein di farsi vedere da un bravo armocromista e dopo un (inevitabile) sorriso, mi sembra di vedere di colpo i filamenti di un solo prodotto comunicativo dominare su tutto il resto e che molto probabilmente le resteranno incollati addosso per molto tempo, anche al di là dei suoi effettivi meriti o demeriti.
È questo l’effetto che i leader dovrebbero monitorare e che spesso, soprattutto quando si presenta in termini negativi o sarcastici, tendono invece a sotterrare pagandone le conseguenze più a lungo. Per dirla con la teoria di Thomas Gresham, la narrazione cattiva scaccia quella buona nella maggior parte dei casi.
A conti fatti, la big babol del segretario dem è e resterà a lungo quella dell’armocromista, con riferimento alla consulente di immagine Enrica Chicchio, molto rinomata a Bologna, ingaggiata da Elly Schlein per essere consigliata sulle scelte di abbigliamento.
Così come, per diversi anni quella che ha marchiato la comunicazione di Silvio Berlusconi è stata il “bunga bunga”. In questo breve repertorio di scelte, errori e leggerezze narrative dei leader, come non rammentare per il Matteo Renzi politico, il suo #enricostaisereno, una sintesi perfetta, per quanto non cercata espressamente, per circoscrivere i tratti fondamentali del suo carattere. O, passando da un Matteo all’altro, la big babol di Salvini ci restituisce l’immagine dell’estate 2019 con l’allora vice ministro Salvini in bermuda a fare il deejay al Papeete Beach di Milano Marittima. Mentre, per l’attuale premier Giorgia Meloni, rimane ancor’oggi il suo “Io sono. Giorgia”, grido di battaglia lanciato in piazza San Giovanni a Roma nell’autunno del 2019.
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