Come al solito, è stato il più veloce a commentare e probabilmente anche a preparare una strategia. Come riuscì a fare dopo le europee, sciogliendo l’Assemblea nazionale e convocando nuove elezioni. Un temibilissimo azzardo che invece alla fine è stato un capolavoro (“troncare e sopire”). Una cottura lenta di Marine Le Pen, in mezzo Olimpiadi grandiose e infine l’incarico di formare un nuovo governo al gollista Michel Barnier. E tanti saluti al tracotante Jean-Luc Mélenchon.

La controffensiva di Macron

Così Emmanuel Macron si era preparato per tempo a salutare l’affermazione di Donald Trump e a lanciare la controffensiva. “Dobbiamo scrivere noi la storia, se decidiamo di essere consapevoli di quello che siamo. Noi siamo una potenza enorme, nessun mercato è unito dai nostri valori come il nostro. Se ci svegliamo, difendiamo i nostri interessi, gli interessi europei”, la lezione che l’inquilino dell’Eliseo ha impartito ieri a Budapest durante il summit della Comunità Politica Europea. Con un messaggio rivolto a vari interlocutori, da una parte e dall’altra dell’Oceano: “Attorno a questo tavolo possono esserci delle sensibilità diverse, ma sono convinto che il nostro interesse sia lo stesso: che la Russia non vinca la guerra”.

Macron torna in sella

Insomma, Macron è tornato in sella, ma ora con l’esecutivo ibrido di Barnier deve affrontare una situazione all’italiana. Ovvero debito pubblico alle stelle e maggioranza parlamentare incerta: un classico per Roma, un po’ meno a Parigi. L’obiettivo è tagliare le spese per frenare la corsa dell’indebitamento, nella speranza di recuperare la produttività perduta. Che in pratica significa sacrifici per tutti. Un avviso di sfratto, dopo 24 anni, per la settimana lavorativa di 35 ore, eredità del governo socialista di Lionel Jospin. E vessillo per le sinistre continentali al grido di “lavorare meno per lavorare tutti”. Un “lusso” che i francesi non si possono più permettere. “Ogni anno lavoriamo globalmente meno dei nostri vicini, lungo la durata di un’annata”, ha infierito il titolare dell’Economia Antoine Armand. D’altra parte gli analisti in queste settimane sono stati impietosi: “In assenza di una decisa scossa e mantenendo le prassi usuali, il paese potrebbe scivolare presto in una spirale negativa del debito senza precedenti, fra declassamenti delle agenzie di rating e un costo del denaro in ascesa”.

L’avanzata del debito pubblico

Il debito pubblico in questi anni è avanzato poderosamente, superando anche quello nostrano, dai 2.218 miliardi nel 2017 ai 3.228 registrati lo scorso giugno. In più, proprio in questi giorni, l’Assemblea nazionale francese si scontra sulla Legge di Bilancio ribattezzata “Frankenstein” dall’emittente pubblica francese. Una marea di emendamenti e di ribaltamenti che rischia di far cadere l’ultima creatura dell’Eliseo. Due le possibilità per superare l’impasse: togliere la manovra dalla Camera bassa per affidarla al Senato (dove c’è una maggioranza più netta) o ritirare il Bilancio dalla strettoia parlamentare e approvarlo così com’è. Rischiando una mozione di sfiducia. Insomma, la Ville Lumière sulle rive del Tevere.