L'allarme
La Corea di Kim entra in guerra, missili finiti nel Mar del Giappone e supporto alle truppe russe nel Kursk: Cina preoccupata
Il test balistico della Corea del Nord ha scatenato l’allarme della comunità internazionale. Anche la partnership fra Mosca e Pyongyang dà molti pensieri, soprattutto al Dragone: Kim nega qualsiasi accordo, ma le truppe nordcoreane sarebbero utili al Cremlino nel Kursk
La Corea del Nord sta diventando, di nuovo, una pericolosa scheggia impazzita. Un attore che negli ultimi mesi si è ritagliato uno spazio sempre più importante nel “cuore” del Cremlino, e soprattutto in uno scenario impensabile fino a pochi mesi fa come l’Ucraina. E che ora sembra avere iniziato a mostrare sempre di più il desiderio di farsi spazio, e di mettere in chiaro al mondo di essere pronta a tutto.
Kim Jong-un lo ha fatto capire anche con l’ultimo lancio di un missile balistico nel Mar del Giappone. Un test avvenuto all’alba di giovedì (ora italiana) e per il ministero della Difesa giapponese rappresenta una delle prove militari più pericolose effettuate da Kim Jong-un negli ultimi anni. Secondo Tokyo, il missile balistico intercontinentale ha superato i settemila chilometri di altitudine e ha volato per un’ora e 26 minuti. Per Pyongyang si è trattato di un test “cruciale” per il potenziamento delle sue forze nucleari. E lo stesso Kim ha dichiarato che il test “risponde pienamente all’obiettivo di informare i nostri rivali della nostra intenzione di reagire”. Ma l’allarme questa volta è scattato ovunque, non solo a Seul e Tokyo (le due capitali dove è atteso l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell).
Gli Stati Uniti hanno ribadito che quanto realizzato dall’esercito nordcoreano è una “flagrante violazione” delle risoluzioni delle Nazioni Unite. E lo stesso ha dichiarato il segretario generale Onu, Antonio Guterres. Ma questa volta gli avvertimenti sono arrivati anche dalla Cina, potenza che da sempre rappresenta una sorta di “dominus” della Corea del Nord di cui è il principale partner economico. “Come paese vicino della Penisola Coreana, la Cina è preoccupata per l’evoluzione della situazione nella Penisola”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian. Pechino, ha continuato, chiede una “soluzione politica della questione della Penisola”. Ma la preoccupazione del governo cinese riguarda anche quella partnership tra Mosca e Pyongyang che nell’ex Impero di Mezzo viene osservata con una certa diffidenza.
Dopo l’incontro di giugno con Vladimir Putin, il leader nordcoreano sembra avere ripreso forza e ha fatto capire di essere pronto a uscire di nuovo dal suo guscio dopo un lungo periodo di quasi isolamento. Per il capo del Cremlino, il rapporto con Kim è un matrimonio di convenienza, non certo di amore. Per molti anni, la Russia ha snobbato il regime nordcoreano, evitando di manifestare al mondo un rapporto che era comunque privilegiato, visto che in qualche modo Mosca aiutava il paese asiatico a eludere gli stringenti lacci dell’embargo e delle sanzioni internazionali. Ma la guerra in Ucraina ha cambiato l’importanza di questo dossier, perché la Russia, dopo anni di conflitto, ha un continuo bisogno di armi, munizioni e ora anche di uomini. E la Corea del Nord può offrire tutto questo in cambio di tecnologia nucleare, militare, petrolio o beni di prima necessità. Un nuovo “asse del Male” da cui Kim vuole trarre linfa vitale per il suo sistema (ieri è stato siglato anche un accordo sull’It) ma anche per lanciare un segnale a tutti i rivali.
La Russia finora ha tenuto un comportamento bipolare. Da una parte nega l’esistenza di una partnership privilegiata con il regime di Kim, o quantomeno ne ridimensiona pubblicamente la portata rispetto agli allarmi occidentali. Parlando delle notizie sullo scambio di tecnologie missilistiche, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ieri ha detto di non avere “questo tipo di informazioni”. E anche sul tema che ha scatenato le preoccupazioni di Seul e dell’Occidente, e cioè l’invio di migliaia di soldati nordcoreani per addestrarsi in Russia (ed essere spediti probabilmente nel Kursk o in Donbass), Mosca ha continuato a negare anche di fronte all’evidenza dei fatti. “Queste dichiarazioni sulla presenza di soldati nordcoreani al nostro fronte non dovrebbero sorprendere nessuno, perché sono tutte menzogne spudorate”, ha dichiarato davanti al Consiglio di Sicurezza l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassily Nebenzia.
Ma le immagini dalle basi, le foto satellitare, e l’intelligence di Stati Uniti, Corea del Sud, altri membri Nato e della stessa Ucraina dicono l’esatto opposto. Sono migliaia, forse anche più di diecimila in prospettiva, i soldati che Pyongyang ha inviato in Russia per addestrarsi e per essere utilizzati dai comandi di Mosca. Stati Uniti e Corea del Sud, poco prima che Kim desse il via libera al lancio del missile balistico nel Mar del Giappone, avevano chiesto al dittatore di ritirare immediatamente le sue truppe dal fronte ucraino. Qualcuno di loro, secondo i servizi americani, dovrebbe essere arrivato già nel Kursk, impegnato insieme alle truppe russe nella riconquista dell’oblast invaso dalle forze ucraine ad agosto.
Il viceambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, Robert Wood, nei giorni scorsi ha avvertito i funzionari nordcoreani che i loro soldati sarebbero tornati in patria “nei sacchi per cadaveri”. Mercoledì, il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha ammesso che le truppe nordcoreane si stavano muovendo in direzione dell’Ucraina indossando uniformi russe e trasportando equipaggiamento russo. E mentre le forze di Mosca continuano ad avanzare in Donbass (ieri è stata annunciata la conquista di un altro insediamento, quello di Yasnaya Polyana), l’armata nordcoreana può essere utile nel Kursk evitando di distogliere forze dall’Ucraina orientale. Soprattutto in vista del grande assedio di Pokrovsk.
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