La malapianta grillina che ha devastato la giustizia
La corruzione è peggio che uccidere, la barbarie della legge simbolo dei grillini che ha devastato la giustizia

Al dottor Piercamillo Davigo, che ama dilettare i suoi ammiratori con storielle paradossali, sostenendo che convenga, dal punto di vista della burocrazia giudiziaria, ammazzare la moglie piuttosto che divorziare, sottoponiamo un altro quesito. È più conveniente uccidere il coniuge (facciamo il marito questa volta, va) o essere imputato di un reato contro la Pubblica amministrazione? Sul Riformista di ieri il magistrato Alberto Cisterna ha ricordato in modo magistrale la scomparsa tragica di Angelo Burzi. Basterebbe mettere insieme due suoi concetti, “giustizia come malattia” e “gogna perpetua” e avremmo già detto tutto. Perché, se è vero che storicamente la giustizia non è stata uguale per tutti da un punto di vista sociale e di censo, ancor meno oggi lo è da un punto di vista politico. E soprattutto moralistico.
Da molti anni leggiamo nei provvedimenti giudiziari e nelle sentenze le analisi di schiere di magistrati che si fanno sociologi e psicologi al fianco di chi “ruba una mela”. Buone intenzioni, che dovrebbero stare fuori dalle aule dei tribunali e trasferirsi, più che in parrocchia, nelle amministrazioni locali. Così finisce che, quasi per una sorta di nemesi della storia, la “giustizia come malattia”, la sofferenza del processo e del carcere finiscono per scagliarsi sul mondo dei privilegi e del potere. O sull’immaginario di quell’universo, per come è percepito. “Tiè!” sembra diventata la parola d’ordine, quasi una risposta al grido “lavoratoriii!”, la pernacchia di Alberto Sordi nei Vitelloni di Fellini. Due leggi sono il simbolo dello sberleffo –e il dottor Cisterna le cita puntualmente- , quella del 2012 che ha preso il nome della ministra guardasigilli del governo Monti, Paola Severino, e l’altra dal nome ripugnante di “spazzacorrotti”, voluta dal ministro Bonafede ed entrata in vigore il 9 gennaio del 2019, quando il premier Giuseppe Conte e il Movimento cinque stelle governavano con la Lega di Salvini.
Se è vero che la prima ha regalato notti insonni a Silvio Berlusconi, che sulla base della retroattività della norma, ha perso il seggio al Senato dopo l’unica condanna definitiva, la sua applicazione ha prodotto soprattutto la strage degli amministratori locali. Lungi da noi il voler dare lezioni alla Corte Costituzionale, ma la sospensione dal ruolo di sindaci, assessori e consiglieri per mesi e mesi, dopo una sola condanna di primo grado, con l’accompagnamento consueto di strilli sui giornali e paternali politiche televisive sull’”opportunità” di allontanamento dalla vita pubblica di persone spesso in seguito assolte, fa proprio a pugni con la ratio dell’articolo 27. E speriamo che provveda il prossimo referendum almeno a eliminare l’automaticità del provvedimento. Non è un caso se abbiamo parlato di “strage”. Perché il sadismo, esplicito e voluto, di norme come la “spazzacorrotti” è stato pensato proprio come vendetta che ferisce e che uccide. E il fatto che sia stata applicata retroattivamente per un anno prima che intervenisse la Corte Costituzionale non è stato senza conseguenze. Proprio come accade per i reati di mafia, anche quelli di corruzione sono per esempio “ostativi” all’applicazione dei benefici previsti dai regolamenti penitenziari.
Così, per tornare un attimo alla storiella che vorremmo raccontare al dottor Davigo, prendiamo due condannati a cinque anni di carcere, un rapinatore e Roberto Formigoni. Il primo dopo un anno può avere l’affidamento ai servizi sociali e uscire dal carcere. Il secondo, no. Perché il suo diritto è stato “spazzato via” dagli amici di Bonafede. E infatti è proprio quello che è successo. È quel che capita un po’ tutti i giorni. Perché nei confronti del condannato “comune” la freddezza della sanzione spesso è accompagnata da un qualche senso di umanità, per cui, se il giudice non ne valuta una particolare pericolosità, anche uno che ha accoltellato il collega può andare ai domiciliari. O un ex rapinatore, quando mancano quattro anni al termine della pena, può essere affidato ai servizi sociali. A Roberto Formigoni non fu concesso, a causa dello spirito di vendetta degli amici di Bonafede.
E che dire di quel che capitò a Luca Guarischi, che tornò dall’Algeria per scontare un residuo di pena inferiore ai quattro anni il 10 gennaio 2019 e fu costretto a un anno di carcere perché dodici giorni dopo entrò in vigore la legge “spazzacorrotti” , prima che nel 2020 la Corte Costituzionale ne dichiarasse l’irretroattività? È ovvio che qui c’è prima di tutto un problema di cultura. Non punisco il reato che hai commesso, ma la tua persona. Sei un corrotto, il che equivale a essere un mafioso, un reietto della società. Devi essere isolato, per te non ci può essere futuro. Ecco la “giustizia come malattia”, ecco la “gogna perpetua”. Proprio quel che succede con i condannati per reati di mafia. Nei processi che riguardano la criminalità organizzata, una delle esigenze che stanno alla base di norme “speciali” e di una certa applicazione delle regole, è quella di tenere isolati i detenuti rispetto all’ambiente criminale esterno. Di qui per esempio l’articolo 41 bis del regolamento, che impone il carcere “impermeabile”, piuttosto che l’impossibilità di godere di quei benefici che si applicano ogni giorno anche a responsabili di gravi reati, omicidi, ferimenti, stupri, rapine. Parliamo di permessi premio, di lavoro esterno, di liberazione anticipata. Chi ha sulle spalle un reato “ostativo”, se non si è genuflesso con la cenere sul capo, sa che la sua condizione sarà eterna, che è condannato per sempre, che la sua è una vera pena capitale.
Non è molto diverso per gli “ostativi” della corruzione, come di quelli del “concorso esterno”. In fondo sono gli stessi, quelli che hanno sul corpo le stimmate del far parte del mondo del privilegio percepito. La percezione, proprio come quella del caldo d’estate, è elemento dominante. Anche se deviante. Non a caso, dal punto di vista giornalistico, si usa spesso il concetto di “odore”: odore di mafia, odore di corruzione. Così è più facile usare metodi investigativi, o di giudizio, ordinari nei confronti di colui che ha ucciso la moglie, ma straordinari contro un avvocato come Pittelli che ha “evaso” la detenzione domiciliare scrivendo una lettera senza aver chiesto l’autorizzazione. Oppure un consigliere regionale che forse ha consegnato gli scontrini sbagliati e ha chiesto un rimborso non dovuto, o sulla cui legittimità c’è incertezza.
Non dobbiamo dimenticarci di Angelo Burzi, e neanche permettere che l’avvocato Pittelli “marcisca in galera”, dopo che è stata “buttata la chiave”. Sono ugualmente vittime, e non stiamo parlando di innocenza o colpevolezza. Stiamo parlando di ferite sul corpo, di ferocia di leggi e di processi, e del valore della vita. Loro non l’hanno sottratta a nessuno, ma qualcuno, in un modo o nell’altro, l’ha sottratta a loro.
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