L’equiparazione di un’organizzazione genocidiaria (Hamas) a uno Stato democratico (Israele) non ha origine soltanto nei berci da corteo filoterrorista, nelle requisitorie dei senati accademici che decretano il nuovo corso Judenfrei delle università sottratte alla contaminazione israelita e nelle mozioni parlamentari che pongono allo stesso livello lo sproposito di un ministro israeliano e il proclama di Yahya Sinwar secondo cui “i bambini sono attrezzi da usare contro Israele”.

No, quell’equiparazione – che non distingue un’organizzazione costituzionalmente criminale da una democrazia che può commettere crimini – ha ormai un sigillo di fonte ben più altolocata, vale a dire l’Organizzazione delle Nazioni Unite. La quale, nella sua interlocuzione con le “parti in conflitto” nella Striscia di Gaza, non riesce a rivolgersi con serietà allo “Stato di Palestina” e si costringe a riferirsi alle “autorità de-facto di Gaza”, cioè appunto le formazioni militar-terroristiche allevate nelle scuole delle agenzie Onu e finanziate dalla cooperazione internazionale, la rete umanitaria occhiutissima sulle privazioni dei bambini palestinesi ma inopinatamente distratta quando essi sono indottrinati alle bellezze del martirio.

Il processo di legittimazione di quella realtà sanguinaria ha avuto modo di compiersi sulla scorta della collaterale bestemmia politico-civile (sempre di marca Onu, e allegramente reiterata da qualche spensieratezza parlamentare anche di casa nostra) secondo cui Hamas sfugge a una rubricazione di esclusività criminale giacché “gestisce uffici e amministra servizi”, che è un modo appena ripulito per dire che anche Hamas fa qualcosa di buono. Un criterio che obbligherebbe a qualche revisione circa il profilo del Terzo Reich, il quale faceva bensì funzionare i forni ma – vogliamo negarlo? – gestiva benone le poste e aveva un’edilizia mica male.

E si noti che tutto questo non c’entra in nessun modo con la possibilità – e a volte la necessità – che gli ordinamenti civili e le comunità organizzate “trattino” con le realtà criminali e terroristiche, ciò che si fa da che mondo è mondo. La perversione del processo che ha portato alla legittimazione di Hamas non ha nulla a che fare con quelle esigenze, e risiede piuttosto nella sconsiderata scelta di affidare le sorti del popolo palestinese ai programmi di quei macellai, in qualche modo “scriminati” perché dopotutto si pongono a fattore di resistenza rispetto a un giogo – quello israeliano – che soverchia per irrimediabile ignominia qualsiasi situazione di precaria ingiustizia determinata dalla “immaturità democratica” delle dirigenze palestinesi. Lo slogan secondo cui Hamas è nemico dei palestinesi ha un suono molto teorico nei discorsi dei tanti disposti ad avversarlo solo tramite la simultanea criminalizzazione di Israele.