Parla il penalista Claudio Botti
La crisi degli avvocati, Botti: ” Ci vuole riforma: meglio pochi avvocati, specializzati e capaci”
«L’esperienza del libro bianco? Oggi non sarebbe proponibile». L’avvocato Claudio Botti, penalista di grande fama ed esperienza, già ai vertici della Camera penale di Napoli e dell’Unione Camere Penali Italiane e protagonista negli anni Novanta di un’iniziativa senza precedenti che mise sotto accusa il metodo di gestione delle indagini da parte della Procura di Agostino Cordova, accetta di fare con il Riformista una riflessione sullo stato della giustizia napoletana e sull’attuale ruolo dell’avvocatura.
E la prima considerazione è che la drammaticità della situazione attuale, non soltanto per gli effetti della pandemia ma anche per altre cause, sta spingendo la classe forense verso una regressione. «Siamo venti anni indietro rispetto allo spazio e alla soggettività politica che aveva l’avvocatura quando fu fatto il libro bianco – osserva l’avvocato Botti – A quel tempo l’avvocatura era molto più forte, più unita e più credibile come interlocutore delle istituzioni giudiziarie. Gli avvocati erano fortemente presenti nei tribunali e nel processo. Oggi, invece, l’avvocatura ha il problema della sopravvivenza che è drammatico e riguarda in particolare gli avvocati più giovani che sono tanti e le cui esigenze vanno tenute in considerazione».
La pandemia, quindi, ha accentuato una crisi che era già in atto ma ora rischia di diventare l’alibi per comprimere ancora di più il ruolo del difensore nel processo. Sullo sfondo ci sono una politica alla ricerca dei consensi del populismo giustizialista e una magistratura che, pur con le dovute eccezioni, tende all’autoreferenzialità. «Oggi viviamo in una situazione di espulsione fisica degli avvocati dal tribunale e dal processo – aggiunge il penalista Botti – L’avvocatura è espulsa dai tribunali come luogo fisico e dal processo in virtù di una serie di iniziative legislative centrali che vanno in questa direzione. Quindi l’esigenza attuale degli avvocati è di ritrovare la loro agibilità innanzitutto fisica, dunque essere presenti nel tribunale ed essere presenti nei processi. Solo dopo ci si potrà interrogare sul come essere presenti e sulla qualità della presenza nell’ambito della dialettica processuale».
L’attenzione, quindi, è alla sopravvivenza professionale di tanti penalisti. «Il settore era in crisi già prima che intervenisse la catastrofe del Covid perché nella relazione tra domanda e offerta di prestazione professionale l’offerta è da tempo nettamente superiore alla domanda – spiega Botti – Di conseguenza, l’asticella della rivendicazione politica dell’avvocatura si è molto abbassata e si avvicina più a una rivendicazione di tipo sindacale che politico, finalizzata a soddisfare esigenze primarie».
Intanto, in nome della necessità di contenere i rischi di contagio e contingentare le presenze, gli accessi alla cancellerie degli avvocati sono limitati, molti processi si celebrano da remoto e, se non si invia tempestivamente una mail, si rischia che l’udienza si celebri senza difensore mentre il diritto di difesa finisce per essere compresso. «Più che di una compressione parlerei di una espulsione del difensore, quindi del diritto di difesa», sottolinea Botti che intravede soluzioni in una svolta culturale e in progetti di riforma. «Non si può continuare con interventi legislativi a macchia di leopardo, la riforma della giustizia deve prevedere un sistema complessivo di modifiche – conclude il penalista – Quanto alla professione forense, è necessaria una riforma dell’ordinamento per regolare l’accesso alla professione e istituire albi di specialità: meglio pochi avvocati, specializzati e capaci, che molti avvocati che provano a sopravvivere».
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