Ormai ogni elezione viene definita “storica”. Questo crescente senso di eccezionalità è un altro sintomo della fatica delle democrazie liberali. Negli Stati Uniti il Partito repubblicano ha abbandonato i confini dello Stato liberale per seguire la leadership di Donald Trump. Le proposte del controverso Project 2025 – da molti viste come un’anticamera dell’autoritarismo – insieme a una retorica che invoca una “seconda rivoluzione americana”, dimostrano che i fondamenti della democrazia liberale non sono più intoccabili, ma materia di conflitto politico.
Il sistema francese
In Francia il ricorso al “fronte repubblicano” per bloccare l’estrema destra non è una novità. Tuttavia il partito di Marine Le Pen non era mai stato in testa al primo turno delle elezioni legislative, vincendo quasi ovunque. Il sistema elettorale francese ha probabilmente raggiunto il limite della sua elasticità: la prossima volta il “fronte” potrebbe non bastare più, se non addirittura perdere pezzi.
Competizione politica
Proseguendo a Est arriviamo in Turingia, entrata nella storia per la prima vittoria dell’estrema destra dai tempi del nazismo. Per ora il cordone sanitario tedesco regge, ma la crescente influenza dell’Alternative für Deutschland – soprattutto nelle regioni dell’ex DDR – mette in dubbio la sua esclusione sistematica. È quanto sta accadendo a livello locale, dove, in diversi episodi, l’AfD ha votato insieme alla CDU o ad altri. Questi esempi, pur diversi tra loro, rivelano una tendenza comune: lo Stato liberale non è più il terreno condiviso della competizione politica. La crisi delle democrazie liberali emerge nella frattura tra Stato di diritto e Stato democratico, ma come ricordava Norberto Bobbio, una democrazia è liberale o non è.
La riduzione delle democrazie liberali
Un modo in cui l’autoritarismo avanza è lo smantellamento graduale dello Stato di diritto e delle libertà, conservando alcune strutture di facciata tipiche della democrazia, come le elezioni. Non sorprende che il Democracy Report 2024 del V-Dem Institute abbia registrato le autocrazie elettorali come la forma di governo più diffusa al mondo, con tre miliardi e mezzo di persone che ci vivono. Il rapporto evidenzia anche una drastica riduzione delle democrazie liberali, tornate ai livelli del 1985: oggi il 71% della popolazione mondiale vive in autocrazie, rispetto al 48% del 2003.
Il circolo vizioso
Di “cordoni sanitari” sentiremo parlare sempre più spesso. Tuttavia queste strategie non sono prive di rischi. Primo: le alleanze tra partiti ideologicamente diversi funzionano solo se la minaccia autoritaria è percepita come reale dagli elettori, altrimenti possono ritorcersi contro chi le promuove. Secondo: unire le forze per vincere le elezioni è una cosa, ma governare è ben diverso. Esecutivi bloccati da veti incrociati rischiano di aumentare il malcontento, innescando un circolo vizioso. Terzo: la democrazia si nutre di pluralismo e di sano conflitto politico. Limitarli in nome della difesa della democrazia deve restare un’eccezione. In caso contrario, si rischia di soffocarla: come si dice, “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”.
Il rischio autoritario
Alla fine la democrazia non può essere salvata se non sono i cittadini a volerlo. Non esistono meccanismi giuridici o costituzionali capaci di azzerare completamente il rischio autoritario. D’altra parte non c’è democrazia senza responsabilità. Romano Guardini, ricordando i ragazzi della Rosa Bianca, mette in guardia contro un “totalitarismo che viene dall’alto, ma anche un totalitarismo che viene dal di dentro”, che è la tentazione di liberarci dal peso delle nostre responsabilità.
Le disuguaglianze socioeconomiche
La responsabilità, però, è anche in capo alle classi dirigenti. Non si può trascurare la promessa di uguaglianza politica insita nella democrazia, una promessa tanto più tradita quanto più aumentano le disuguaglianze socioeconomiche. Non a caso, anche nelle elezioni europee di giugno, in Italia si è confermata una forte correlazione tra reddito e astensione: al diminuire del reddito, aumenta l’astensione. Secondo IPSOS, a fronte di una media del non-voto del 53,1%, tra i redditi più bassi si sale al 75,7%, scendendo poi al 32,9% tra i più ricchi. Siamo tornati alla democrazia censitaria.
Qui troviamo un avvertimento fondamentale per salvare la democrazia liberale: non rinunciare a perseguire l’articolo 3 della Costituzione, rimuovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti”. Se non per convinzione, si faccia per convenienza, “perché – già ammoniva Aristotele – dove c’è chi possiede troppo e chi niente, si crea una democrazia sfrenata o un’oligarchia autentica, o, come risultato di entrambi gli eccessi, una tirannide”.