Lei sa, signor ministro Bonafede, che non è mio costume speculare su incidenti altrui, e ridere scompostamente di chi inciampa. Ho anche letto la sua precisazione, che questa volta francamente fatico a comprendere. Ci mancherebbe pure che l’assolto debba poi andare in galera!
Ma qui mi preme che lei comprenda seriamente cosa possano aver significato le sue parole – «gli innocenti non vanno in carcere» – per le decine, anzi le centinaia di migliaia di persone che hanno vissuto quell’incubo. E lasci perdere le condanne per ingiusta detenzione. Davvero pensa che sia quella la contabilità reale di chi ha ingiustamente patito il carcere?
Lei è drammaticamente fuori strada, signor ministro. Si tratta di una piccolissima parte di quelli che hanno vissuto ingiustamente da colpevoli. Ma lei ama occuparsi di vittime. Come tutti i populisti giustizialisti, le è più comodo, facile ed utile, senza preoccuparsi se il presunto carnefice possa essere a sua volta la prima e la più tragica delle vittime.
Questo d’altronde è esattamente il discrimine tra l’idea liberale e quella populista della giustizia penale. Per i primi, diversamente dai secondi, il prezzo più alto che una società possa pagare non è un colpevole impunito, ma un innocente in galera. In verità, andiamo ben oltre il pensiero liberale.
Si tratta di una idea fondativa della civiltà umana, dall’indubbio pro reo del 530 dopo Cristo al contemporaneo al di là di ogni ragionevole dubbio. Il sistema processuale, signor ministro, è ab origine concepito per prevenire questa tragedia, l’innocente in galera, l’unica davvero intollerabile. Altro che “certezza della pena”.
La facilità con la quale lei ha potuto dire e anche ripetere quelle parole non è dunque un incidente, ma la esatta spia del punto di vista politico che lei esprime. È un problema di priorità, di cosa si abbia innanzitutto in testa quando si parla di processo, di sanzione, di pena, di innocenti e di colpevoli. Ed è il punto di vista che ha portato lei, coerentemente con il risultato elettorale, ad essere ministro di Giustizia del nostro Paese, e a firmare le leggi che ha firmato.
Leggi per “spazzare via” la corruzione (a proposito, complimenti per i brillantissimi risultati, sotto gli occhi di tutti), e per introdurre la categoria dell’imputato a vita, con la nota abrogazione della prescrizione. Sono leggi che vengono concepite da chi vive letteralmente ossessionato dal colpevole impunito, mai dall’innocente massacrato.
Non credo dunque che lei debba giustificarsi, signor Ministro: questa è, semplicemente, la cultura politica che lei esprime, con il suo movimento stellato, i suoi Davigo, i suoi Travaglio, i suoi Di Matteo, insomma tutta la nota compagnia di giro. Io anzi preferisco che lei la esprima quotidianamente, con la massima, inequivocabile chiarezza.
Si tratta invece di capire cosa ne pensino i suoi nuovi alleati di governo; quali misteriose e penose mediazioni si pretenderebbe di concludere con l’idea del diritto e della legge penale che lei incarna e rappresenta – sia detto a suo onore – senza equivoci, senza mai nascondersi. Quale indecorosa resa a esse si stia facendo rovinosamente strada su principi che dovrebbero essere non negoziabili, salvo a volersi iscrivere definitivamente nell’empireo del populismo giustizialista.
Ma sia cauto, per il futuro, quando parla di innocenti. Li lasci perdere, almeno. Come ho cercato di spiegare, di norma gli innocenti condannano sé stessi al silenzio. Ma noi avvocati le loro storie le conosciamo, e non abbiamo nessuna intenzione di tacere.