Il 25 settembre gli italiani sono chiamati a votare. Ma per che cosa? Per indicare chi potrà godere nei prossimi anni di uno stipendio da parlamentare o per scegliere quale futuro deve esservi per il paese e, quindi, quali programmi andranno attuati e chi li dovrà portare avanti? I cartelloni elettorali del Partito democratico sembrano propendere per questo secondo significato, avendo incentrato il messaggio sulla parola “scegli”. Ma è bastato un intervento di Giorgia Meloni per aprire al dubbio che sia tutta una grande ipocrisia e che il senso del voto si riduca, invece, alla individuazione di chi debba godere dello stipendio di parlamentare.

Giorgia Meloni ha dichiarato: «Se vincesse il centrodestra e ci fosse l’affermazione di FdI, non ho ragione di credere che Mattarella possa assumere una scelta diversa rispetto alla mia indicazione» a premier. Marzio Breda ha subito scritto sul Corriere della Sera che «fonti del Quirinale fanno notare che è una prerogativa del capo dello Stato nominare il presidente del Consiglio e che non è possibile autoproporsi». Subito dopo è stata emanata una nota del Quirinale nella quale si afferma: «sono del tutto privi di fondamento articoli che presumono di interpretare o addirittura di dar notizia di reazioni o ‘sentimenti’ del Quirinale su quanto espresso nel confronto elettorale». Resta il fatto che Marzio Breda è uno dei giornalisti più accreditati presso il Quirinale e che il principio, che ha enunciato, è quello con cui, da oltre dieci anni, è giustificato l’incarico a primi ministri e a coalizioni di governo, che nulla hanno a che vedere con la volontà popolare espressa nelle ultime elezioni.

Queste considerazioni portano, inevitabilmente, a riflettere sulla opportunità o no di una modifica della Costituzione in senso semipresidenziale, secondo quello che molti auspicano da tempo. La tesi contraria è fondata sulla considerazione che in un paese diviso, come l’Italia, è assolutamente necessaria la presenza di un organo di garanzia, quale è l’attuale istituto del presidente della Repubblica. Chi formula questa obiezione vive, evidentemente, in un altro paese o su di un altro pianeta. La prassi costituzionale, che si è ormai consolidata, è nel senso che il cosiddetto organo di garanzia non ha più il compito di tutelare la volontà popolare, essendo titolare di un potere che sovrasta quella volontà. Il che gli consente, come si è detto, di nominare primi ministri e governi che con quella volontà nulla hanno a che fare. Il dettato dell’art. 1 della Costituzione, secondo cui la sovranità appartiene al popolo, diviene così lettera morta.

Si dirà che, una volta eletti i rappresentanti dei vari partiti, questi ultimi hanno la più piena libertà di azione e, quindi, il Presidente non può che registrare favorevolmente il formarsi di nuove aggregazioni capaci di esprimere un governo stabile. Ma non è così. Le alleanze, cui costringe la legge elettorale, si presentano con un programma comune e su quel programma ottengono i loro voti. Il che giustifica la circostanza che il voto dato ad un partito della coalizione finisca con il giovare a tutta la coalizione. Certamente, la legge elettorale è pessima in quanto lascia insoluto, tra le altre cose, il rapporto tra i partiti della coalizione. Se, tuttavia, si guarda alla vicenda dal punto di vista dell’elettore diventa ragionevole attendersi che, nel momento in cui il voto si spalma su tutta la coalizione, un istituto di garanzia, rispettoso del principio che assegna la sovranità al popolo, non consenta il passaggio delle forze politiche da una coalizione all’altra. Ma l’esperienza, soprattutto di questi ultimi anni, non è in questa direzione. Lo spettacolo più indecente si è avuto quando, nel gennaio 2021, Matteo Renzi, ritirando le ministre di Italia Viva, ha aperto la crisi del governo Conte bis.

A quel punto è iniziato un mercato delle vacche, volto ad ottenere che cambiasse casacca un numero di parlamentari addirittura tale da poter costituire un autonomo gruppo sia alla Camera e sia al Senato. L’entità della migrazione auspicata era così rilevante che sin dall’inizio si presentava come un oltraggio pesantissimo alla sovranità popolare. Ciononostante, l’organo di garanzia, che è dotato di poteri di moral suasion particolarmente efficaci, non impedì l’apertura del mercato e la sua prosecuzione, sotto gli occhi di un paese indignato, per quasi due settimane. Pose fine a questo spettacolo indegno quando la credibilità delle istituzioni aveva ormai subito un duro colpo. Dopo vicende del genere, restare abbarbicati alla attuale organizzazione della Repubblica, ed immaginare che esista un organo di garanzia posto a tutela del principio fondamentale, che vuole attribuita al popolo la sovranità, è pura demagogia e volontà di ignorare il concreto operare delle istituzioni di questo paese e, cioè, quella che, con espressione particolarmente felice, viene indicata come la Costituzione Materiale.

Se la deformazione, portata dalla prassi, ha mutato radicalmente il ruolo del Presidente della Repubblica, ponendolo addirittura al di sopra della volontà popolare, nasce inevitabilmente il problema di un riequilibrio, che ponga nuovamente quella volontà al vertice. In questa prospettiva, il semipresidenzialismo alla francese sembra essere la soluzione più opportuna. Il presidente, eletto direttamente dai cittadini, non è più un soggetto al di sopra della volontà popolare, essendone, viceversa, diretta espressione. I suoi poteri hanno limiti (ed è per questo che si parla di semipresidenzialismo), che costituiscono una robusta tutela per l’ipotesi di eccessi e di sconfinamenti.

Una durata più limitata degli attuali sette anni e un divieto di una terza rielezione potrebbero costituire gli elementi base di una figura istituzionale che, restituendo decisività alla volontà dei cittadini, darebbe una attuazione molto più soddisfacente al principio democratico. Il fatto che, oggi, possa essere considerata una bestemmia la dichiarazione di un leader di aspirare al Governo del paese, nel caso vinca le elezioni, è così grottesco da rendere evidente a quale punto le cattive prassi degli ultimi anni abbiano portato la democrazia italiana.