Restrizioni ancora per un mese
La deriva della Giustizia, lo stato di emergenza è finito ovunque tranne che in Tribunale
L’ultimo decreto del Governo ha ufficializzato la fine dello stato di emergenza e da ieri il termine “normalità” ha assunto un valore nuovo. Non così nel Palazzo di giustizia di Napoli dove le misure emergenziali entrate in vigore in piena pandemia ancora persistono. I capi degli uffici hanno promesso di revocarle dal primo maggio, prendendo ancora un mese di tempo: il virus è forse più pericoloso nelle aule di giustizia che fuori? Appare strano che proprio mentre si ragiona su come accelerare i tempi dei processi perché è la durata il male peggiore della nostra giustizia, sia proprio il settore della giustizia a riprendere più lentamente degli altri i normali ritmi nel post-pandemia. Accessi solo su prenotazione alle cancellerie, venti udienze dinanzi alle sezioni monocratiche che ne macinavano quaranta o cinquanta a regime normale saranno ancora la prassi nel Palazzo di giustizia.
Almeno per un altro mese, poi si vedrà. I penalisti napoletani hanno chiesto più volte la revoca delle misure emergenziali. «Abbiamo chiesto che i processi tornino ad essere celebrati in numero più elevato, mantenendo alto il livello della qualità della giurisdizione con un’organizzazione delle udienze più precisa e meticolosa. Perché solo così – spiega l’avvocato Marco Campora, presidente della Camera penale di Napoli – si evita il sovraffollamento nelle aule, dannoso non solo per il rischio di diffusione del virus ma anche perché finisce per ingenerare confusione e tensioni che non fanno bene». La nomina a presidente coordinatore del settore penale del giudice Tullio Morello è vista con ottimismo. «Con lui avremo una riunione la settimana prossima per mostrare proposte finalizzate a migliorare la struttura organizzativa delle udienze». Resta da superare questo mese di limbo, questo periodo cuscinetto voluto dai capi degli uffici giudiziari.
«Noi abbiamo posto due condizioni: la revoca delle misure emergenziali e l’abolizione del sistema delle prenotazioni per l’accesso alle cancellerie che è un metodo per noi inaccettabile, inadeguato e che non ha alcuna ragione di essere, anche alla luce del fatto che l’introduzione dei sistemi informatici ha ridotto fortemente le attività svolte dagli avvocati presso le cancellerie, il deposito delle istanze e altre attività ormai si fanno telematicamente per cui la folla nelle cancellerie, che non c’è mai stata, adesso è del tutto azzerata – sottolinea Campora – Abbiamo bisogno di una riapertura totale del Tribunale, come tutti i settori anche la giustizia deve tornare alla normalità». Anzi soprattutto la giustizia, se si considera che da essa dipendono vite e diritti e si ricorda che già prima della pandemia era un settore rallentato da eccessivi ritardi e lungaggini. I giudici sembrano attenti solo ai ritardi che dipendono dagli altri, non a quelli che dipendono dalle loro scelte.
Non è accaduto a Napoli ma a Potenza, ma tanto basta a far nascere una riflessione ulteriore sulla deriva che sta prendendo il settore giudiziario. Ci riferiamo al caso dell’avvocato che aveva chiesto il rinvio dell’udienza per malattia e si è ritrovato indagato. Anche se la Procura di Potenza ha mitigato il clamore spiegando che l’indagine sarebbe scaturita da altro, l’episodio resta al centro di commenti e riflessioni che si estendono a considerazioni su quello che è ormai il rapporto tra le parti processuali. La Camera penale di Napoli, esprimendo vicinanza all’avvocato Antonio Murano del foro di Potenza, esprime preoccupazione «per l’incomprensibile iniziativa assunta della Procura potentina».
«Quali che siano le ragioni che hanno indotto l’inquirente a tale improvvida iniziativa, c’è serio motivo per cui preoccuparsi», si legge in una nota della giunta dei penalisti napoletani presieduta dall’avvocato Campora. «Continua ad avvertirsi, ed anzi forse è in aumento, all’interno di alcuni settori della magistratura una concezione proprietaria della giustizia in cui ciascuno può “incapricciarsi” delle proprie idee o delle proprie intuizioni con l’utilizzo di danari e risorse che invece sono di tutti i cittadini. O, più banalmente, in cui solo chi si è autonominato proprietario di casa può decidere quali processi si celebrano e quali no. In questa visione distorta, la funzione difensiva e la stessa figura personale dell’avvocato viene costantemente minacciata e vilipesa».
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