I sondaggi di questi giorni lo hanno ribadito: se si andasse a votare a breve, non ci sarebbe alternativa rispetto all’attuale maggioranza. Meloni gode ancora della fiducia degli italiani, nonostante gli scossoni della politica internazionale. Eppure, proprio in questo quadro che appare scontato, da più parti si odono sirene elettorali che non escludono una corsa alle urne nella primavera del prossimo anno. Le ragioni vanno oltre il consenso e il fatidico “vento di destra che soffia in Europa”, di cui è conferma la costante crescita di Afd in Germania. Ma non è questa la molla che spingerebbe l’attuale maggioranza a rompere gli argini prima della fine naturale del mandato.

Meloni, retorica da social

La retorica del guinness dei primati sul governo più longevo della Repubblica funziona certamente sui social, ma conta relativamente poco quando sul tavolo ci sono partite ben più cruciali. E queste rispondo a due nomi: premierato, ma più ancora, presidenza della Repubblica. Il primo tema è ritornato inaspettato, quasi “a freddo”, nelle più recenti citazioni della premier. Il secondo è una prospettiva, quasi un’escatologia, che non solo conferirebbe un senso a tutto il percorso politico del centro destra di questi anni, ma ne consegnerebbe il destino alla storia, quasi come un suggello di eternità, il raggiungimento di un traguardo mai esplicitato, per timore reverenziale del peso e della responsabilità della carica. Ma, certamente, una tale conquista chiuderebbe per sempre qualunque diatriba sull’inadeguatezza presunta e su qualsiasi ombra o retaggio del passato. Dopo il Governo, giungendo al più altro seggio, per la prima volta la destra, in quanto tale e senza sconti, appoggi esterni o favori, diverrebbe garante della tenuta stessa della Costituzione e del Paese. Bingo.

Il segreto

Ma la strada per arrivarci è tortuosa e richiede passi attenti e precisi. E se per un attimo provassimo a immaginare che dietro tutto l’agitarsi di Salvini, pre e post congresso, non ci fosse solo tanta voglia di Viminale, ma una exit strategy per tornare alle urne nel 2026, fare man bassa di voti e consensi, riconfermare, anzi, rafforzare l’attuale maggioranza e portarsi a casa premierato e, soprattutto la presidenza della Repubblica nel 2029? Un prezzo da pagare oggi, una “assunzione di colpa”, in qualche modo “concordata” che consentirebbe al leader leghista di giocare la parte della coerenza e del leader forte, pronto a tutto, di fronte ai propri elettori e iscritti per rilanciarne, invece, il ruolo di governo su una posizione più forte, un attimo dopo il voto. E se salire al Quirinale fosse proprio il desiderio inconfessato e inconfessabile della premier, il sogno nel cassetto che non si rivela a nessuno, la nomina che incoronerebbe la corsa di una vita, partita dalla semplice militanza dritta, dritta al più alto scranno della politica? E se l’affannoso incontro con Donald Trump e JD Vance non avesse solo come tema le ricadute dei dazi sull’Italia ma, in qualche modo, fosse la ricerca di un “lasciapassare”, un endorsement dalla sua famiglia repubblicana, un appoggio politico, una spinta a prendere in mando con coraggio le redini dell’Italia e garantire una stabilità decennale per il caro e storico alleato d’Oltreoceano? Per il momento questi scenari sono un esercizio di stile, ma una volta Andreotti disse che a pensar male si fa peccato ma ci si piglia. E la politica è l’arte di immaginare l’impossibile.