In tanti articoli di quotidiani, riviste specializzate, network, non ho mai letto, mai, sotto forma di cronaca quotidiana in diretta dal camposcuola di battaglia, un’autentica messa a fuoco della situazione e delle vicende della scuola in crisi per pandemia, come tutto l’universo del resto. Mai una narrazione dettagliata da parte di chi ha vissuto e sta vivendo in prima persona, con sangue, sudore e lacrime, non solo questi tre mesi, lunghissimi, interminabili, se si sfoglia un calendario (anche se, ora, a pensarvi, sembra che comunque, e nonostante tutto, la mia scuola, come tutte le altre scuole di Napoli, d’Italia, abbia seguito il suo corso nella normalità di momenti e di grande esaltazione e di ordinaria problematicità, al di là di slogan e pubblicità televisive), ma soprattutto la fase immediatamente precedente prima che . . .
4 marzo 2020 ore 18.00 circa: trepida attesa in presidenza con gli smartphone e i computer sintonizzati sulle edizioni pomeridiane straordinarie dei tg. Che succederà domani? Rivedremo i bambini e i ragazzi ? Si sospendono o no le attività didattiche? Dopo tre giorni d’inferno a controllare certificati medici di alunni e di tutto il personale, nonché autodichiarazioni sventolate come trofei, da rompicapo per scegliere e rimaneggiare il format meglio adatto alla nostra realtà scolastica? Hai sentito il DPO ? La salute al primo posto! Manifesti tazebao con una giungla di misure preventive di sicurezza, distanziamenti, no assembramenti. Quella naturale, viscerale relazionalità affettiva di vicinanza, ferita, annientata. Si teme l’altro, stai lontano, non te lo dico ma te lo faccio capire. Le aule divenute trincee con un nemico ignoto in agguato. E dai sotto con comunicazioni alle famiglie, ai docenti; raccomandazioni, cautela, prudenza. Come si farà ad arrivare a giugno, così?
Arriva il decreto governativo. Appena un secondo dopo, sembrava che fosse crollato un ponte, quel ponte dell’unità e della salvezza che collega, unisce delle sponde altrimenti isolate, irraggiungibili, come se si fosse lacerato all’improvviso un legame di sangue parentale, scomposti di colpo i genomi del nostro DNA, la nostra identità genetica scolastica. Panico, ansia, autoincoraggiamento, piano d’azione strategico subito. Non perdiamo contatti, non dobbiamo perdere i bambini, i ragazzi. Ordinanze, note, direttive complicate. Mille azioni da fare in sincrono. Didattica a distanza subito. AAA cercasi docenti con valide competenze tecnologiche per fortificare il Team dell’Innovazione. In una notte (quella tra il 4 e il 5 marzo, quale dirigente scolastico potrà mai dimenticarla per il resto della vita ?) in Casa “Alpi-Levi” nasce il contingente TID (Team Innovazione DAD). Forza, prendiamo tutti i tablet, sì, ne acquistiamo altri con un po’ di economie nostre, quelle per le emergenze … come una buona madre di famiglia. Il Ministero dell’Istruzione ci da’ fondi straordinari Emergenza covid 19. Bene, ne prendiamo di più.
Elaboriamo subito schede di monitoraggio comparto per comparto, corso per corso, classe per classe, alunno per alunno/a, chi ha e chi non ha il device, connettività, banda larga. E i Rom? I bambini e i ragazzi indigenti ? Quelli dei parchi se la caveranno. In quella notte fatidica è nata anche una piattaforma bacheca creata sul sito della scuola. Ma quale piattaforma per le video lezioni? Tutte quelle che sapete usare, poi si vedrà. Commissiono subito la Google Suite e la Google Meet. Possiamo usare facebook ? Sì ma dai 14 anni in su, e anche WhatsAp? Sì, il Ministero ha dato l’ok. Non dobbiamo fermarci! Issiamo le vele e partiamo, il vento in poppa della volontà di non arrendersi ci aiuterà.
E così la scuola è partita ed è rimasta sola. Tutte le progettualità straordinarie, con enti esterni e finanziamenti vari: sparite, il deserto. Certo, gare di solidarietà tra enti locali per il sostentamento economico e bonus per tablet per categorie a rischio ma ci sono voluti tempi lunghi. Intanto i Rom ne stanno fuori, sempre, anche questa volta. Ci pensiamo noi, tutta unita, stretta nella solidarietà, l’amorevolezza per i nostri alunni, ci pensa l’Alpi-Levi, a cibo e tablet: pane e companatico. Sì, pure il tablet così come i compagni, anche se non per tutti per ora, occorrono altri fondi. Ce la faremo. Con il “dispensatore alimentare”, Fratel Raffaele, diviso tra i Campi di Giugliano e Scampia, l’“SOSusotablet” del gesuita informatico, Padre Eraldo, e Suor Eduarda, da esercito della salvezza. Gli unici partner sempre fedeli che danno alla scuola, non prendono. Come dà Asso-Resistenza di Scampia con Ciro Corona che ci ha donato corsi gratuiti per avviare alla professione di futuri informatici ragazzi fortemente a rischio. E così il device è stato la livella che ha limato in parte divari incolmabili, almeno nel poterne fruire. È un inizio, e presto diventerà sistema … una stilla di luce nell’oscurità che pareva imperare.
Ma nella relazione umana, affettiva, empatica, diretta con gli alunni, nel dramma quotidiano anche della perdita del posto di lavoro dei genitori o di cari per il male del giorno, siamo stati noi sempre presenti. Altrimenti il deserto, il deserto in un deserto di Scampia in cui la salvaguardia della salute, la protezione della vita è stata più importante della latitanza, e l’epidemia più temibile di un arresto o di una detenzione: famiglie sgangherate si sono riunite da una perenne diaspora alla chiusura a riccio. Festeggiamenti per i “rientrati” che ha comportato euforia riversata anche nel rapporto con i docenti, ma anche il godersi esclusivo di un “riempimento” inaspettato e insperato di una mancanza, di un vuoto che aveva travolto e sconvolto bambini e ragazzi nei loro affetti più intimi. Si è compreso, così, finalmente che la Scuola è la primigenia e prima, unica agenzia educativa che cura l’istruzione e la formazione dei bambini e dei ragazzi. Autosufficiente, autarchica, resiliente e visionaria. Con una fede professionale incrollabile. Da sola un intero sistema.
Dalla quotidiana ordinarietà all’eccezionalità di interventi organizzativi e didattici volti innanzitutto alla salvaguardia della vitale relazione di cura degli alunni e della comunità. E non c’è rete che tenga. L’essenzialità della qualità delle relazioni esterne intessute per la scuola transluce nel bisogno, nell’emergenza. E i giudizi non possono essere che implacabili a fronte di tanta incontrovertibile evidenza. La Scuola è stato l’unico spiraglio di ossigeno in questo clima pesante, fosco in cui aleggiava, ma ancora adesso, la paura del contagio, della malattia, delle sofferenze indicibili, della morte, di un’esistenza arrestata di colpo, più che per lo scoppio di una guerra, gli effetti di un sisma violento e devastante di cui si riescono a cogliere avvisaglie.
Questo subdolo nemico in agguato … questo virus canaglia è un fulmine in un cielo terso che devasta, annienta. Peggio dei tempi del colera, in cui, come in ogni momento di calamità del passato, la scuola si paralizzò perché non c’erano gli strumenti idonei. E nessuno s’indignò. È un dolore indicibile, sapere dell’interruzione della quotidianità in presenza con la propria comunità professionale, con i propri alunni, avendo in petto un ardore irrefrenabile per il proprio lavoro, capace di infiammare e sciogliere l’iceberg più imponente del mondo. Si resta affamati e assettati dalla voglia di guidare con tutte le premure dovute la propria famiglia scolastica, di essere educatori, di insegnare. E allora anche la più piccola briciola di pane, la più piccola goccia d’acqua sfama e disseta. Il più piccolo contributo “altrimenti inimmaginabile” con la didattica a distanza che è stata vicinanza, amorevolezza sapienziale digitale. È un seme da tenere gelosamente custodito perché metterà radici, porterà buoni frutti. E nulla resterà invano.
I docenti hanno tirato fuori ancor più la loro corporatura in cemento armato, i muscoli di ferro, le ossa di acciaio facendo di tutto, proprio di tutto, per non fallire nel loro mandato, pur di essere accanto ai propri alunni, perché da questi “mamme e papà affidatari di scuola, per elezione spontanea al tempo del coronavirus”, i bambini, direbbe Filomena Marturano, si aspettano la bella cosa se fanno i bravi, e sono loro che stanno al capezzale quando quei bambini non stanno bene. Crocifissi al computer per la salvezza, redentori e redenti di scuola, da luddisti incalliti a difensori di oggetti, altrimenti ferraglia, divenuti sacre reliquie come per una storia d’amore a prima vista, geni della lampada di Aladino che appaiono, lì, sempre puntuali all’altro capo del monitor, senza strofinio, ma con un click. E la Google Meet diventa come per magia un castello incantato con tante finestrelle luccicanti che, a poco a poco, si spera, si accenderanno.
Pazienza e pazienza, cellulari staccati, numeri disattivati, lezioni di pomeriggio fino a tarda sera perché i ragazzi chattando fino alle 4:00 del mattino non si svegliano prima delle 13:00. E loro sempre lì, irremovibili davanti a quel monitor magnete, pure di notte; come per i Rom dove nel Campo, a quell’ora, almeno quel po’ di connettività arriva o per le serate happening noi tutti insieme, pure con genitori mai conosciuti prima con sorprendenti, inimmaginabili collegamenti anche dall’estero. Giobbe si è trovata una genia di discendenti che ha soppiantato qualsiasi statistica di denatalità degli ultimi cent’anni. Certo, stakanovisti, pasionari, irriducibili nella perseveranza attiva, ma anche i meno fervorosi, i depressi, i frustrati, i “volevo far altro e ho ripiegato ….”. La DAD è un miracolo e fa miracoli. No, la DAD è un’impresa ardua e ha generato solo ardue fatiche. Però nessuno si è arreso del tutto irrimediabilmente. Un taylorismo organizzato che ha infervorato, alla fine tutti. Così per i bambini e i ragazzi, chi ha confermato l’impegno, chi si è appassionato miracolosamente alle tecnologie come mezzo e canale per imparare e produrre, chi, invece, ha continuato a pensare che la scuola e, almeno per ora, a che serve ? Anzi, ancor più adesso non fa uscire dalla miseria, dal disagio di una vita fatta di stenti. Con la stessa rabbia in corpo e il furore di interiorità sconquassate, come già adulti. Come sempre.
Eppure, nonostante la fatica enorme che non riesce a sfiacchire di certo l’entusiasmo né a soppiantare i nostri doveri istituzionali, sedicenti, “saggi” commentatori di scuola affermano: “È meglio la didattica in presenza!” L’acqua calda, l’America, l’uovo di Colombo, dimenticavo Lapalisse. Chiunque si scelga a piacimento la metafora o il riferimento che più possa dare soddisfazione in cuor suo all’evidenza del trionfo della scontatezza, dell’aver scomodato le sinapsi più interconnesse per ragionamenti così arguti. E così della scuola parla chi non ne sa nulla, non ha mai vissuto niente della scuola e nella scuola se non come alunno cent’anni fa o non l’ha nemmeno immaginata come un ideale sublime, da empireo, rivoluzionario, emblema di tutti gli ideali e i valori che nessun virus mai potrà annientare. E così si sono innescati un dibattito vacuo che oscilla tra la fiera dell’ovvietà, la maratona del parlare a ciancia, le olimpiadi del digital divide (non importa che tutti o quasi abbiano videogiochi violenti, playstation e Fortnite ultimissima edizione), dell'”a scuola subito, ma università chiuse”, senza se e senza ma. E i protocolli di sicurezza, i contagi, il diritto/dovere alla tutela della salute? Le differenze sociali rilevate solo al tempo del covid-19, se si ritorna a scuola spariscono subito? Maiora premunt.
Perché, così, la Scuola è considerata un parcheggio gratuito, il babysitteraggio di Stato, un progettificio miniera business ammortizzatore sociale. Asserzioni insistenti con un’arguzia, una pretestuosità tale da far sentire in colpa donne e uomini di autentica vocazione di scuola, che in una tale emergenza epidemiologica, stanno facendo scuola, come la farebbero in riva al mare o sul picco di una montagna. Perché chi vuole insegnare, lo fa dovunque si trovi. Con qualunque mezzo, attraverso qualsiasi canale. Perché la Scuola non è l’edificio scolastico come la famiglia non è la casa. È il luogo interiore degli affetti che la cultura lega per sempre, delle alchimie insperate mix di sapienza, emozioni, esperienze, relazioni. È una comunità con la stessa anima palpitante, stretta unita, e così ci sente, anche se si sta lontano. Come se nulla fosse cambiato. Lontano dagli occhi, ma di certo non dal cuore.
Ma, quali scie luminose su questi bui luoghi comuni, si effondono le illuminazioni del pensiero di chi, invece, nell’onestà professionale, quali ricercatori purosangue e fuoriclasse, con le loro profonde intuizioni e intelligenti, leali, realistiche speculazioni, con una lucida analisi del presente dettata da precipue contingenze, sta prospettando, insieme ai Caschi blu della Scuola, un modello di sistema scolastico che ha alla base il recupero attivo della sua dimensione etica e pragmatica per includere davvero tutti in modo sostanziale, e non meramente formale. Tra alcuni, Roberto Maragliano, Giancarlo Cerini, pedagogisti appassionati di chiara fama, hanno continuato a rigenerare gli scenari del futuro della Scuola che ormai avrà un’anima ibrida in vista di una prossima fusione a sistema conciliante opposti un tempo considerati “croce e delizia”, gli uni o gli altri, in base al punto di vista, tra analogico e digitale (libri e tablet), tra umanesimo e tecnologie (processi progettuali di idee, sentimenti, ideali e valori che si veicolano attraverso i sussidi multimediali) contro la deleteria tecnocrazia, tra azioni in presenza e interazioni a distanza (una socialità intercomunitaria e mondiale che supera limiti e confini di comunicazione). Perché la Scuola è un prisma, è riflesso della pluralità di tutte le istanze di rinnovamento, di miglioramento di una società civile.
La Scuola al tempo del covid-19, come nel pensiero del filosofo Giuseppe Ferraro, è dei legami interiori, viscerali, che ora si sono riannodati e rinsaldati come non mai. Appartiene a loro. Grazie, Massimo Recalcati. Stati Generali della Scuola Anno Zero. Il cambiamento è partito.
Silenzio, allora! Parla la Scuola autentica.
*Rosalba Rotondo è preside dell’Istituto Alpi Levi di Scampia