Le logiche di guerra possono apparire atroci, ma hanno una logica. Se ti aggrediscono, devi cercare in tutti i modi di rendere la vita difficile all’aggressore. Preparando la pace come male minore per chi voleva annientarti. Le logiche della politica internazionale possono apparire vacue. Ma anch’esse hanno una logica. Se sei un grande paese, o addirittura una unione di paesi, prima devi saper sostenere chi si difende, poi essere protagonista sui tavoli dove si decide la fine del conflitto. Nel mondo in bilico in cui viviamo, qualcosa finalmente sembra muoversi.

Far sentire il panico del popolo

In Ucraina, dopo oltre 900 giorni di guerra, di sanzioni fallite e sberleffi russi ad ogni mediazione, Zelensky e i suoi hanno trovato un varco: “Mosca ci ha portato la guerra, ora deve sentirla”, dice il presidente ucraino. Non è un problema solo di colpire Putin al cuore, cioè i gasdotti e le centrali nucleari. Ma soprattutto di far sentire al Cremlino il panico del suo popolo, che piange almeno 120mila morti e 400mila feriti. Per ora le autorità russe pagano il silenzio delle famiglie, ma questo sistema non può durare. E di fronte all’attacco di Kiev su territorio russo, Bruxelles agisce come dovrebbe fare sempre se gli Stati uniti d’Europa fossero realtà: parla subito e con una sola voce, per dire che “l’Ucraina ha il diritto di attaccare il nemico ovunque lo ritenga necessario”.

La fase della ragione e della trattativa

Inizialmente i russi hanno definito l’azione di Kiev sul loro territorio “una provocazione”. Poi, probabilmente si sono resi conto dell’assurdità di tale definizione: un paese aggressore che si sente provocato da una modesta incursione nemica. Ora potrebbe iniziare la fase della ragione e della trattativa. Non c’è futuro e non c’è Europa, se l’Ucraina viene smembrata e resa neutrale. E la rapida scalata di Kamala Harris aumenta la speranza di non indebolire il patto atlantico. Non è un caso che sia legata a idee che della democrazia sono la linfa: emancipazione femminile, rifiuto del razzismo, lotta ad ogni forma di totalitarismo.

Medio Oriente, la diplomazia armata verso una svolta

Intanto, anche in Medio Oriente si intravede uno squarcio, nel buio di 10 mesi di massacri seguiti al 7 ottobre 2023. La prossima conferenza di pace, al Cairo o a Doha, potrebbe non essere l’ennesima fumata nera. I paesi musulmani, Egitto in testa, hanno reso evidente all’asse del terrore Hamas-Iran-Hezbollah-Houthi che per loro non vi sono sponde se decidessero un attacco diretto a Israele. Teheran alza la voce perché vive un reale dilemma, quello di esporsi con un’azione militare che, per quanto dimostrativa, provocherebbe il gelo degli arabi e la violenta reazione di Tel Aviv. E potrebbero essere colpiti gli impianti petroliferi, cuore del potere degli ayatollah anche più del gas per Putin. Anche qui “la diplomazia armata” si rivela l’unica via possibile. Dietro la tenuta di Israele ci sono gli europei ma soprattutto gli americani. Ed è emblematico il fatto che a chiedere moderazione all’Iran ci sia anche Mosca. L’incendio globale anti-americano e anti-occidentale a quanto pare non conviene più tanto.