La disfatta del Primo Ministro
La disfatta di Boris Johnson, perché il premier britannico ha perso le elezioni e cosa rischia ora

Si è votato in Gran Bretagna. Elezioni amministrative parziali. I conservatori hanno ricevuto una frustata. Un po’ ovunque. Soprattutto a Londra dove hanno perduto la circoscrizione storicamente e pervicacemente tory che è quella di Westminster. La destra vinceva ininterrottamente a Westminster dal giugno 1964. Cioè dal mese ed anno in cui nacque Johnson. Gli osservatori politici immaginano che questa sconfitta possa spingere Johnson verso le dimissioni. O verso un progressivo declino.
Nel suo partito molti credono che non possa essere lui a guidare i conservatori alle prossime elezioni politiche che si svolgeranno probabilmente l’anno prossimo o al più tardi nel 2024. I risultati delle amministrative non sono ancora definitivi ma i giornali inglesi parlano di disfatta per il premier. I dati parziali dicono anche che all’assemblea dell’Irlanda del Nord il Sinn Fein potrebbe sconfiggere gli unionisti. Naturalmente è difficile non mettere in relazione questi risultati con i grandi fatti della politica internazionale. Sicuramente sul risultato ha pesato il party-gate (lo scandalo per le feste “governative” durante il lockdown), ma certo di più ha pesato l’Ucraina.
La politica particolarmente aggressiva e guerresca di Johnson non ha portato consensi ma anzi li ha tolti. Possiamo dire, semplificando appena un po’, che in questo momento i leader politici più esposti, in conseguenza alla guerra, sono da un lato Putin e Zelensky, dall’altro Boris Johnson e Joe Biden. Nei giorni scorsi si scommetteva su chi sarebbe stato il leader a cadere per primo. Molti pronosticavano Putin. Invece, a occhio, è stato Johnson. Difficile immaginare chi sarà il prossimo e chi il prossimo ancora. In America si vota a novembre e Biden rischia molto. I sondaggi lo danno in precipizio. Il destino di Zelensky e Putin invece, purtroppo, non dipenderà dalle urne ma dalle bombe.
In ogni caso è probabile che lo schiaffone rimediato da Johnson – che in parte, ma solo in parte, ieri ha ammesso la sconfitta: “è stata una nottata molto dura per i conservatori” – suonerà come un campanello d’allarme per gli atlantisti oltranzisti. Un po’ ovunque. Cioè per i seguaci “perinde ac cadaver”, come dicono i gesuiti ( fino alla morte) della Casa Bianca. In particolare in Europa, dove è ragionevole pensare che nei prossimi giorni qualcosa si muova e si scongeli il blocco di ghiaccio che sin qui l’ha tenuta imprigionata nel freezer americano. Anche i segnali vagamente distensivi lanciati ieri da Zelensky (“trattiamo”) potrebbero far pensare a una prospettiva meno guerresca. Zelensky fin qui ha avuto in Johnson il sostenitore numero uno. Forse da parte sua sarebbe logico, ora, guardare anche in altre direzioni. L’Italia che farà? Vediamo come va il viaggio di Draghi a Washington. Saprà, il presidente, non prendere ordini da Biden ma fare invece uno sforzo per convincerlo a fare un passo indietro e lasciare il tavolo russo- ucraino all’Europa?
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