Una vita passata con la macchina fotografica al collo. Di giorno e, soprattutto, di notte. Con il sole o la tempesta. Una professione nata per gioco e trasformata con genialità e classe nel mestiere di Paparazzo. Lui è il Re. The King. Per chi fosse vissuto lontano dal pianeta terra dal 1960 ad oggi è Rino Barillari. Il più bravo di tutti. Il più svelto. Il più. Senza se e senza ma. Un  fuoriclasse assoluto: dove non c’era la foto lui la trovava. Sempre. Estro, genialità e quell’umiltà che solo i grandissimi hanno. Dopo esser stato incensato con mostre speciali a Roma, nella sua Calabria, a New York, Londra e così via il King sbarca in Umbria. A Todi per la precisione. A segnare la riapertura delle attività e dei luoghi della cultura e dell’arte è una mostra davvero unica e speciale che si è inaugurata venerdì nelle Sala delle Pietre e che fino a domenica prossima celebra Rino Barillari, il “paparazzo“ più famoso ’Italia. Anzi “The king of paparazzi”, soprannome con il quale è conosciuto in tutto il mondo. Ma Rino è prima di tutto un amico fraterno, il compagno di mille notte passate ad aspettare: dal vip a cena alla scena di un crimine. “Senza foto non si torna a casa ragazzì”, mi ripeteva all’inizio della mia carriera. E vederlo all’opera era la più bella delle esperienze. Il saluto a ogni fine telefonata: “Ti voglio bene”. Anche io amico mio.

LA MOSTRA

La mostra “Rino Barillari. Una vita da paparazzo. L’Italia dalla Dolce Vita a oggi vista con gli occhi di un reporter” è organizzata da Todimmagina, il festival di fotografia contemporanea, con il patrocinio del Comune e propone una strepitosa carrellata di fotografie che hanno fatto la storia. Sono esposti gli scatti più celebri di Barillari dagli anni 60 fino ai giorni d’oggi, con immagini attualissime del 2021 e una videointervista dell’autore. Con la novità di poter ascoltare, per alcune fotografie, registrazioni audio con la voce di Rino Barillari a commento dell’immagine, grazie a un codice QR associato.

EMOZIONI AL VIA

Grandi emozioni, venerdì alla cerimonia d’inaugurazione, con il sindaco Ruggiano, vari rappresentanti istituzionali e lo stesso Barillari. Che ieri mattina ha tenuto una conferenza sui fotografi di via Veneto degli anni 50-60 insieme a Marcello Mencarini, Andrea Nemiz e Angelo Turetta. Barillari è conosciuto in tutto il mondo con il soprannome di “The King of Paparazzi” e giovanissimo – tra il 1959 e i primi anni Sessanta, l’epoca della Dolce Vita – ha fotografato il jet set di passaggio a Roma, le celebrità italiane e le tante star internazionali che giravano negli studi di Cinecittà. Nel 1964, come fotografo de Tempo, è testimone dei principali eventi dell’epoca, incluse le contestazioni del Sessantotto e gli anni del terrorismo. La mostra ripercorre la sua carriera e tra le tante immagini brillano divi, divine e star della Dolce Vita per approdare alla foto attualissima di due sposi con la mascherina. La mostra si può visitare tutti i giorni, fino a domenica 23 nella Sala delle Pietre con orario dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19 con ingresso gratuito. Sempre nel rispetto della normativa anti covid con uso obbligatorio della mascherina e distanziamento di un metro.

IL BARILLARI PENSIERO

Cosa significa essere il King dei paparazzi?
«Arrivare prima di tutti, trovarsi nel posto giusto e scattare. Tanto. Sempre».
E come si arriva prima?
«La vede quella poltrona (indica con un dito verso una sedia di vimini che sembra un cobra, ndr). Quello è il trono del King: lì ci sono tutte le mie cravatte annodate. E sa perché? In certi casi anche risparmiare i trenta secondi per fare il nodo serve ad arrivare per primi. E io, ve lo assicuro, raramente sono arrivato secondo su una foto».
Perché?
«Perché lo scatto è emoscion, emozione. Brivido. È la passione che si ha dentro: a 73 anni come oggi o quando ne avevo 10 e mi trovavo nel cuore della Roma della Dolce Vita, quella vera, quella che poi Fellini ha raccontato magistralmente nel suo celebre film».
Qualche numero della sua carriera?
«Diciotto ossa, 165 ricoveri in ospedale e 76 macchinette, ma ‘a guera è guera».

 

Franco Pasqualetti

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