C’è una contraddizione politica, persino troppo evidente, che campeggia nella sinistra italiana. E, soprattutto, nel nuovo corso inaugurato dalla Schlein. Ovvero, e molto semplicemente, si dichiara pubblicamente la propria natura inclusiva e autenticamente democratica e pluralista e – al contempo – si scaraventano tonnellate di odio e insulti di ogni genere contro il nemico implacabile e irriducibile. Che, di norma, è chi di volta in volta governa e non è riconducibile alla sinistra. Così è stato per quasi 50 anni con la Democrazia Cristiana, poi con Berlusconi, poi addirittura con Renzi e adesso, e a maggior ragione, con il governo guidato da Giorgia Meloni.
Ma, al di là di questo aspetto talmente scontato che non merita neanche di essere commentato, è altrettanto indubbio che questo comportamento porta a una sola conclusione. E cioè che quando si delegittima moralmente, politicamente e culturalmente l’avversario – che nel frattempo diventa un nemico irriducibile – è abbastanza evidente che si crea un clima politico all’insegna dello scontro frontale dove l’unico elemento che viene scartato a priori è proprio la natura inclusiva di chi si fregia di quell’aggettivo. E, purtroppo, su questo versante emerge il peggio di una prassi politica che – al contrario – dovrebbe invece ispirarsi a una cultura democratica, riformista e di governo.
Ovvero la rivendicazione di essere dalla “parte giusta della storia”, di rivendicare la cosiddetta “superiorità morale” nei confronti dell’avversario/nemico e, soprattutto, di squalificare tutto ciò che proviene dall’avversario/nemico come espressione del sempreverde fascismo e la conseguente e scontata deriva dittatoriale, illiberale, antidemocratica, anti costituzionale e autoritaria. Ecco perché non si può rivendicare in tutte le piazze di essere culturalmente inclusivi e poi, nello stesso momento, lanciare strali quotidiani contro l’avversario politico accusandolo di ogni nefandezza della vita pubblica.
L’ultima notizia di cronaca arriva dal Piemonte, dove si vota per il rinnovo del Consiglio Regionale. Ebbene, puntuale come l’arrivo di una stagione meteorologica, anche in Piemonte nell’ultima settimana di campagna elettorale parte l’accusa del Pd di fascismo contro il presidente Cirio e – almeno pare di capire – contro l’intera coalizione di centrodestra. Ora, che il fascismo non centri nulla con le elezioni regionali piemontesi è a tutti noto. Ma, semmai, questa ridicola e grottesca polemica evidenzia il ritardo culturale e il settarismo politico di un campo che non riesce a liberarsi dei vecchi fantasmi e che, addirittura, li rispolvera e li usa come una clava da lanciare contro l’avversario. A prescindere, come direbbe Totò.
Per questi motivi, persin troppo semplici da tratteggiare, non si può essere politicamente inclusivi quando di radicalizza quotidianamente lo scontro politico. Perché un atteggiamento del genere, oltre a essere nefasto per la qualità della democrazia, è anche nocivo per la salute stessa del sistema politico italiano. Ed è proprio per queste ragioni che – se si vuol essere realmente una forza riformista, democratica e di governo – ci si deve allontanare da una deriva (squisitamente populista, anti politica, demagogica e quindi grillina) che fa dell’annientamento morale e politico del nemico politico la sua ragion d’essere. Una deriva che, alla fine, indebolisce la stessa storica e gloriosa cultura della sinistra democratica e riformista nel nostro paese.