Sinistra e tv
La fallimentare storia di NessunoTv, il nome che era tutto un programma

Vent’anni fa iniziava le sue trasmissioni NessunoTv, che già nel nome definiva le sue ambizioni, di cui in effetti pochi oggi hanno memoria. La storia di NessunoTv rappresenta bene la cronica difficoltà della sinistra post-comunista italiana nel fare televisione: un’iniziativa animata dalle migliori intenzioni, che non riuscì a lasciare un segno nel panorama mediatico italiano. Un fallimento che non è solo tecnico o imprenditoriale, ma culturale e politico.
NessunoTv nasce all’inizio del 2005 come canale satellitare, con l’ambizione di rappresentare un riferimento per il mondo progressista. Il progetto, corsaro e quasi clandestino, nasce in un garage di via Ostiense. E lì si sviluppa: con gli studi televisivi dove c’erano bidoni di gasolio e marmitte smontate. La macchina della politica, però, c’era. Eccome. Il progetto era sostenuto da personalità vicine ai DS e puntava a rappresentare un pur piccolo contraltare alla televisione commerciale.
Chi c’era dietro NessunoTV
A fondarla e dirigerla c’era Claudio Caprara, che dopo aver diretto la comunicazione della Fgci era approdato a Palazzo Chigi con D’Alema. Tuttavia, fin dall’inizio, il canale mostra gravi limiti strutturali. Il primo problema è la sua visibilità ridotta: trasmettere solo su satellite e web, rimanendo confinato in una nicchia. Il secondo è la mancanza di una linea editoriale chiara: i contenuti sono frammentari, il palinsesto è discontinuo e manca un’identità capace di attrarre un pubblico. Il terzo, e forse più grave, è l’incapacità di competere sul piano della qualità televisiva. I programmi sono realizzati con pochi mezzi e con una regia spesso amatoriale, che rende il prodotto poco interessante.
Il cambio nome, la voce della sinistra Riformista
Nel 2008 NessunoTv cambia nome e diventa RedTV. Un nome molto impegnativo per un tentativo di rilancio che si rivelerà fallimentare. L’obiettivo era diventare la voce della sinistra riformista, in un’epoca in cui il Partito democratico cercava ancora di definire la propria identità. Tra i promotori c’erano i volti noti dell’area ex Ds, una serie di intellettuali e giornalisti (Lucia Annunziata, Massimo Bordin, Pietro Folena, Gabriele Poli, Piero Sansonetti) e tutti sperano di creare un canale che possa attrarre ascoltatori. Ma anche RedTV eredita tutti i problemi di NessunoTv e ne aggiunge di nuovi. C’è il tentativo di coniugare informazione e intrattenimento senza un’identità chiara. I contenuti spaziano dai talk show politici a documentari e approfondimenti con scarsa coerenza. Uno dei problemi più gravi è l’incapacità di attrarre investitori pubblicitari. RedTV si trova rapidamente in difficoltà finanziarie, incapace di sostenere i costi.
L’abbandono del progetto
Nel 2010 il progetto viene definitivamente abbandonato, lasciando dietro di sé un’esperienza amara. L’incapacità di NessunoTv – RedTV di trovare una sua nicchia nel panorama mediatico italiano non è solo un problema legato agli aspetti tecnologici o economici: riflette un limite più profondo della sinistra italiana nel rapporto con la televisione. Ancora all’inizio del nuovo millennio, si continuava a sottovalutare il potere della radio e della televisione, considerandole un mezzo secondario rispetto alla carta stampata. Così, mentre nel mondo cresceva un linguaggio televisivo capace di parlare a vasti segmenti di pubblico, la sinistra non riusciva a liberarsi dalla sua corazza ideologica.
Quando comunicare sullo schermo è un’impresa
Un esempio su tutti: i comici nati in quegli anni erano per buona parte figli del pensiero progressista, ma venivano lanciati dai canali della Fininvest, sul palcoscenico del Costanzo Show o su quello di Zelig, guidati dall’intelligenza di due autori dichiaratamente progressisti come Gino e Michele. Da Paolo Rossi a Giobbe Covatta, da Enzo Iacchetti a Lella Costa, (l’elenco completo sarebbe lunghissimo): una generazione di artisti che trovarono il loro successo sulle reti del Biscione. Il rapporto degli ex comunisti con la televisione continuava a essere assolutamente irrisolto. Arriviamo a settembre del 2000, quando la prima edizione del Grande Fratello andò in onda su Canale 5 e su Stream, condotta da Daria Bignardi. Walter Veltroni affermava di guardare il programma con piacere, ritenendolo sociologicamente interessante, mentre Massimo D’Alema accusò Berlusconi di trasmettere amplessi a pagamento sulle sue televisioni. Fu Angelo Guglielmi che provò a ridefinire i contenuti di una televisione “progressista”, con “la tv delle ragazze”, “Avanzi”, “Fuori orario” e “Blob”, ma alla fine arrivò l’Unità a scrivere a proposito di Rai Tre: “Quasi tutto sarebbe stato meglio della cultura parodistica e della parodia della cultura con la quale la tv di sinistra ci ha così piacevolmente intrattenuti per anni”.
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