Avete mai letto il romanzo americano Il prenditore nel campo di segale? Probabilmente rispondereste di no. Se però scoprite che si tratta del celebre Giovane Holden di Salinger immagino che la risposta sarà positiva. Ripensavo al romanzo, uscito nel 1951 – e quasi Bibbia generazionale -, vedendo un documentario di Daniele Cini (da un’idea di Daniele Cini e Claudia Pampinella, musiche di Giancarlo Russo e Luis Gurevich), La febbre di Gennaro (2020) in un cinema torinese (ma è disponibile su Sky, Google Play e altre piattaforme), intorno a un ragazzo 19enne di Taranto che decide di lasciare tutto e di dedicarsi ad aiutare gli ultimi della terra. Poteva intitolarsi, benché suoni un po’ goffo, Il prenditore nei campi dimenticati.

Torniamo a Salinger: il protagonista, il sedicenne Holden, espulso dalla scuola per basso rendimento, sognatore ribelle in fuga dalla ipocrisia del mondo adulto, interrogato dalla sorellina Phoebe su cosa vuole fare da grande risponde: «Colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale» (una frase evocata dal verso di una ballata settecentesca del poeta scozzese Robert Burns). Appunto: “il prenditore”, il “raccoglitore”, “l’acchiappatore”… anche se in qualsiasi traduzione non si è potuto riprodurre il titolo originale (a noi è andata bene, in Francia hanno optato per il melenso, fuorviante Il rubacuori!). Ora, Gennaro Giudetti è il nostro “prenditore”. La sua missione è evitare che qualcuno cada nel burrone, affoghi in mare, sia preso a sassate dai coloni ebrei, venga ucciso dagli squadroni della morte o dall’Isis, muovendosi tra golfo di Otranto e campi-profughi palestinesi, tra Colombia e la città siriana di Oms, tra Niger e Congo e un ospedale di Lodi in piena pandemia. Il merito del film – serrato, ben costruito (concentra un materiale sterminato in 53 minuti di visione) e dal ritmo incalzante -, è di proporci un ritratto asciutto, privo di qualsiasi retorica celebrativa.

Come apprendiamo dai genitori Gennaro fin da piccolo ha manifestato questa attitudine a soccorrere il prossimo in difficoltà. Una autentica vocazione, che si è tradotta nel volontariato a tempo pieno in giro per il mondo (all’interno di varie associazioni: Comunità Papa Giovanni XXIII, Valdesi, Comunità di Sant’Egidio, Medici senza frontiere, Sea Watch...) e che, naturalmente, destabilizza qualsiasi modello di vita “normale” , fatta di un lavoro regolare, di relazioni stabili, etc. (quando torna a Taranto Gennaro rivede amici e familiari, ma poi riparte quasi subito). Guardando il documentario ci si interroga continuamente sui moventi di Gennaro, apparentemente “irrazionali”, o comunque lontani dall’esistenza di ciascuno di noi. La sua scelta di dedizione totale agli altri sfiora per noi la santità, anche se lui rifiuterebbe questa immagine. Certo sembra implicare qualcosa di “religioso”, nel senso in cui Pasolini una volta osservò che ciò che ha permesso a Gramsci di sopravvivere per molti anni al carcere, immergendosi nello studio e nella lettura, è una passione “religiosa”, una passione cioè non del tutto spiegabile razionalmente, e forse legata a un sentimento oceanico, di fraternità e unione con tutti gli esseri umani.

In certe culture e società potrebbe essere vista addirittura come una forma di psicopatologia. Nel film Europa 51 di Rossellini il marito borghese (imprenditore) della protagonista (Ingrid Bergman) – anche lei presa improvvisamente dalla “febbre” di dedicarsi ai poveri e agli sventurati (ispirata a Simone Weil) – decide di farla internare in manicomio per quelle sue “stranezze”. Chi va contro i propri interessi, e contro i privilegi del proprio ceto, è considerato matto! Allora potremmo chiederci: Gennaro va contro i propri interessi? Vi è del “fanatismo” nella sua scelta? Forse dovremmo adottare un concetto meno riduttivo di interesse. Quanto al fanatismo, limitiamoci a constatare che in quella scelta c’è sicuramente una dismisura, qualcosa che eccede le normali, consuete aspirazioni di vita nelle nostre società. All’inizio ho voluto richiamarmi a Salinger perché un conto è citare, che so, il libro Cuore quando vogliamo screditare la letteratura edificante e i buoni sentimenti, e un altro conto mettersi ad accusare il Giovane Holden di buonismo (impresa palesemente improbabile)!

In fondo Holden è l’erede di due fi gure letterarie diverse della letteratura americana: il picaro giramondo Huckleberry Finn e il disadattato, asociale Bartleby. Il film di Cini, che andrebbe proiettato nelle scuole (tanto è contagiosa la figura di Gennaro), ci mostra che tra il cielo e la terra ci sono molte più cose di quelle che riesce a immaginare la ideologia dominante. Egoismo, avidità, prepotenza, istinto di sopraffazione sono indubitabilmente reali, e comprovati da innumerevoli comportamenti umani, però ogni giorno ci capita di assistere anche a un solo gesto di altruismo, gentilezza, compassione (tutte disposizioni che, come ci hanno dimostrato studi recenti, hanno peraltro un fondamento biologico).. Le immagini che ho visto sullo schermo ci rivelano qualcosa che nessun libro avrebbe potuto mostrare: Gennaro è soprattutto felice! Un fatto che si percepisce continuamente.

Quando sorride, quando scherza, quando si rimbocca le maniche, quando raccoglie dall’acqua buia e gorgogliante (come in un girone dantesco!) un bambino africano che miracolosamente ce l’ha fatta, quando parla uno spagnolo fluente e musicale, quando si dichiara innamorato della sua città tra i due mari… Per parafrasare Camus, che ci invitava a pensare un “Sisifo felice” (immagine paradossale), lui incarna il “raccoglitore felice”. Holden lo avrebbe messo tra i suoi eroi.