Ricorrono in questi giorni i trent’anni dal XLVII Congresso Nazionale del Psi svolto all’Eur, l’11 e il 12 novembre 1994, durante il quale i 496 delegati sancirono la “morte” dello storico partito fondato nel 1892 da Filippo Turati. Fu un momento decisivo non solo per la sinistra italiana, che tre anni prima aveva visto lo scioglimento del Pci, ma anche per tutto il mondo politico del Paese: segnò la fine di quello che fu il primo partito italiano moderno e democratico, che arrivò secondo alle elezioni della Costituente del 1946, fu stabilmente terzo per tutta la sua esistenza, e di cui fecero parte Presidenti del Consiglio (Bonomi e Craxi, ma anche Mussolini fino al 1914) e Presidenti della Repubblica (Saragat e Pertini).

I primi problemi per il Psi

Dopo quasi mezzo secolo come garante ineliminabile della governabilità, i primi problemi per il Psi iniziano ad arrivare con lo scoppio di Mani pulite e soprattutto dopo il coinvolgimento nell’inchiesta di Bettino Craxi e le sue conseguenti dimissioni da segretario nel febbraio del ’93. Prima Benvenuto e poi Del Turco (compreso Valdo Spini nei suoi tre mesi come coordinatore nazionale), affrontano un anno e mezzo complicatissimo: dalle catastrofiche amministrative del giugno del ’93, da cui il Psi esce demolito, alle elezioni politiche del ’94 quando il garofano (ormai sostituito nel simbolo dalla rosa) raccoglie il 2,5%. Fino ad arrivare alle europee del ‘94 quando ottiene, con l’1,8% dei consensi, il risultato peggiore della sua storia.

La Federazione Laburista

Inizia così “l’ultima estate” del Psi, ormai sempre più frammentato e sempre più in difficoltà economiche al punto da dover abbandonare anche la storica sede di Via del Corso. Spini, dà vita ad un nuovo partito socialista totalmente rinnovato sia nel nome che nella sua composizione, la Federazione Laburista, che accoglierà oltre la metà dei parlamentari del partito, che nei mesi precedenti aveva perso anche i componenti più vicini a Craxi, come Ugo Intini e Margherita Boniver, i quali, contrari ad una futura alleanza con il Pds, avevano dato vita alla Federazione dei Socialisti.

A quel punto, ciò che rimaneva del partito si riunì l’11 e il 12 novembre alla Fiera di Roma, diviso in due fazioni: da un lato, quella maggioritaria portata avanti da Del Turco, Boselli e Giugni, che sostenevano la necessità di sciogliere il partito e costituirne uno nuovo, dall’altro, quella sostenuta dai craxiani Manca e Cicchitto, contrari, invece, allo scioglimento. Prevalse la linea “più a sinistra”, che mise dunque fine alla più antica formazione politica italiana e diede il via alla cd. Diaspora socialista.

Il giorno successivo nacquero, così, due nuove formazioni politiche: il SI (Socialisti Italiani), guidato da Boselli e Giugni, e il Partito Socialista Riformista, composto, invece, dalla storica ala “destra” craxiana. Ma entrambe le formazioni non riusciranno mai a consolidarsi nel panorama politico italiano con un proprio elettorato di riferimento, così come fece per cinquant’anni il Psi, e il loro percorso sarà lastricato di insuccessi e divisioni, le quali caratterizzano qualsiasi altro movimento che negli anni nascerà con l’idea di dar vita ad una nuova formazione socialista. E ancora oggi, trent’anni dopo quel fatidico 12 novembre 1994, l’illusione e la speranza di ricreare quello che fu il partito in grado di essere l’ago della bilancia durante tutta la prima Repubblica, sono rimaste tali.

Francesco Spartà

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