L'inchiesta
La follia della Grecia: espelle i migranti abbandonandoli in mare su gommoni senza motore

E il sacco, in cui Eolo rinchiuse i venti per ridare all’eroe il ritorno, più che aprirsi esplode, i turbini disegnano con le nuvole uno stomaco immenso sul cielo greco. La storia vomita sulla terra se stessa, cancella ogni effige di una civiltà e cultura che è stata divina. Tutto l’onore va in pezzi sopra i gommoni in cui di nascosto il Governo greco ammassa i profughi, barchette portate al largo, senza motore e senza timone, poi lasciate alla deriva, in braccio al destino, che forse per tanti è stato orribile.
L’inchiesta del New York Times è spietata, se vera, per come sembra, appanna tutto l’immaginario che il mondo si è costruito verso la Grecia. Dopo l’insediamento del Governo conservatore, al potere con Kyriakos Mitsotakis, le politiche verso i migranti sono diventate sempre più dure, i bracci di forza col potere turco sono continui: Atene incolpa Ankara di puntare i migranti come un fucile verso l’Europa, di farne merce di scambio per prebende economiche e mire espansionistiche. Milioni di profughi sono ammassati nei campi di Erdogan, milioni di occhi disperati fissati sull’Europa. Ma nessuno avrebbe pensato – tanti ancora non ci credono, Atene insiste a negare – che la Grecia, a cui da molte parti si è guardato con pena per le difficoltà economiche, negli ultimi anni, potesse disporsi a quella che può diventare un’esecuzione vile: gli elementi raccolti nel reportage del New York Times, narrano di donne e uomini svegliati nel cuore della notte da uomini col viso mascherato, portati sopra i gommoni nella convinzione che saranno spostati, dalle isole dove approdano, sulla terraferma, e poi mollati alla cura delle onde, di un mare che alcune imbarcazioni le ha spinte sulla costa turca, per questo tante piccole verità, per bocca dei sopravvissuti, si stanno facendo strada e svelano il misfatto. Altre imbarcazioni possono aver preso una deriva più larga, verso il mare aperto, e altre, non si può escludere, possono aver guadagnato solo l’abisso.
E sembra un sogno, o un incubo, il discorso della presidente greca Katerina Sakellaropoulou, con testimone il primo ministro Mitsotakis, davanti al tempio di Zeus Olimpio, ad Atene, che incardinava sulle spalle della Grecia la presidenza del Consiglio d’Europa, da maggio a novembre.
Il Consiglio d’Europa, ossia l’organizzazione comunitaria che ha per fine di promuovere la democrazia, affermare e tutelare i diritti umani, consolidare l’identità culturale europea, ricercando soluzioni ai problemi sociali.
Una specie di scherzo, beffa tragica. Parole solenni d’insediamento, strillate al cospetto di Zeus che della principessa Europa si innamorò di lampo, scorgendola a raccogliere fiori sulla spiaggia: il dio degli dei che si trasforma in un toro bianco, la cui mitezza convince la principessa a montargli in groppa. E poi un rapimento, un volo fino a Creta. La violenza.
La sparizione. Un inganno che si ripete, ma non come metafora o mito. Se provato, un fatto, tragico, di gravita e cinismo privo di ogni attenuante. La negazione di uno dei principi più belli che la cultura greca ha donato all’Occidente, che dovrebbe incatenarsi alle radici dell’albero europeo: la filoxenìa. Lo straniero che rappresenta il dono del cielo, che come tale deve essere trattato con il riguardo maggiore: il New York Times riporta il racconto di una donna siriana, svegliata dai soldati con i suoi bambini, portata su un gommone e abbandonata in mare insieme ad altri venti disperati.
Gli dei, nel suo frangente, hanno mosso il Mediterraneo verso la Turchia, così conosciamo la sua storia. Si spera che gli dei siano e saranno sempre più attenti della loro stirpe prediletta. Ma se i greci affidano alla pietà del mare la vita dei profughi, qualcuno, sull’altare di Zeus, ha pronunciato parole vuote. E non si sarebbe potuto credere che i padri greci dell’Europa avrebbero potuto generare una stirpe così arida, al cui confronto la Lega somiglia a una ONG che lancia scialuppe ai disperati del mare.
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