Possiamo pensare che sia di ritorno la sinistra di governo? Il buon successo del Partito democratico alle europee dovrebbe farci pensare di sì. Il risultato è stato con tutta evidenza dovuto sia alla campagna intensa e generosa della segretaria, sia – come risulta dalle preferenze – alla presenza di candidati forti e convincenti. Se si confrontano questi risultati con quelli deludenti degli altri possibili alleati in una futura coalizione, alcune considerazioni balzano in primo piano. Anzitutto, il Pd è un partito. Cioè – con tutti i suoi difetti – una struttura democratica, radicata nei territori, dotata di una straordinaria esperienza di governo locale, capace di dividersi ma anche di unirsi senza perdere le sue differenze.

È incredibile come queste caratteristiche, che fanno la forza del Pd, vengano raccontate (a volte anche da esponenti del partito) come derive correntizie, manovre di potere, forza di capibastone. Sembra quasi che ogni linguaggio che fa riferimento ai partiti sia interdetto nel discorso pubblico italiano, così che raccogliere voti sembri qualcosa di sospetto, ai limiti della corruzione, e non invece la capacità di aggregare consensi, che è la missione prima di un partito. In secondo luogo, il Pd non è un partito personale. E non lo è, nonostante l’indubbio protagonismo di Elly Schlein e nonostante il reciproco riconoscimento tra lei e la premier Meloni. Non essere un partito personale, forse prima o poi qualcuno se ne accorgerà, è una forza e non una debolezza. Da questo punto di vista, è stato un bene che la proposta di inserire il nome della segretaria nel simbolo non sia passata. Non, come hanno letto molti commentatori, per una rivolta dei capicorrente, ma perché, molto semplicemente, non corrispondeva alla natura del partito.

Ora, però, si apre la questione politica di come si organizza l’opposizione. C’è chi fa i conti delle percentuali e di quanto l’opposizione possa sopravanzare il governo. Come se la prossima vittoria fosse a portata di mano, semplicemente sommando le diverse sigle. Ma attenzione, meglio tenere la mente fredda. E fare alcune semplici conti: le percentuali non sono i voti; le politiche non sono le europee. E una somma di sigle non convince più nessuno, basta guardare al risultato di Stati uniti d’Europa, che pure aveva nomi come la Bonino e Renzi, che ha avuto un alto numero di preferenze.

Allora, invece di cominciare dalla fine, vediamo per una volta di cominciare dal principio. Il Pd si deve allargare, non aggiungendo sigle ma ampliando la sua capacità di dare risposte, arricchendo le sue idee e le sue proposte. È ora di andare al di là della denuncia e della protesta. È ora di sviluppare un discorso maturo, autenticamente riformista, anche facendo tesoro del successo dei tanti esponenti riformisti che sono stati eletti. Non volete chiamarla vocazione maggioritaria? Chiamatela come volete. L’importante è cominciare a fare la sinistra di governo. Cioè un centrosinistra che guardi in faccia la realtà e riesca a produrre idee forti per un mondo nuovo, non la stanca rimasticatura di antiche debolezze.