Il Paese è in fibrillazione e un impasto acre di delusione e di rassegnazione pervade le città. Lo scenario pare abbastanza chiaro. I migliori scienziati lo dicono apertamente che per disporre di un vaccino affidabile ci vorranno parecchi (ma proprio tanti) mesi e che la vita dei cittadini sarà, per molto tempo ancora, un succedersi di aperture e di blocchi più o meno estesi. Un ottovolante terribile e sfibrante fatto di luci e tenebre. E’ inevitabile che i blocchi sociali più fragili e più esposti comincino a fibrillare e che sentimenti di ribellione prendano piede tra le frange della popolazione che avvertono in modo più acuto i riflessi di una crisi economica e sociale di proporzioni gigantesche. Crisi i cui effetti più negativi, si badi bene, sono stati in gran parte solo differiti mettendo in campo (a prestito) risorse finanziarie immani e in via di rapido esaurimento.

In questo scenario in veloce deterioramento, l’esplosione di violenza che ha infiammato le strade di Napoli all’annuncio di una nuova stretta da parte del governatore De Luca non può essere archiviata come una “pazziata” irragionevole dei soliti scalmanati a caccia di guai e con la voglia di menare le mani. Né si può solo dire che la situazione sia sfuggita di mano ai pacifici organizzatori di un flash mob di protesta, perché le bombe carta e i razzi di segnalazione in mano a gruppi di incappucciati o l’assalto alle auto della polizia sono il segnale di qualcosa di diverso. Si è detto del tifo violento organizzato, si è detto delle cellule di antagonisti, si è detto di alcuni clan della camorra in una miscela chiaramente pericolosa e capace di riproporsi in modo più agguerrito e sistematico alla prossima, buona occasione. E di buone occasioni non ne mancheranno di certo nelle settimane che verranno.

Quello che è successo a Napoli, si potrebbe dire, è successo anche altrove. In Francia, Germania, Gran Bretagna non sono mancati incidenti e proteste, ed è vero. Ma in quei luoghi la folla in piazza biasimava la limitazione delle libertà, la stretta sulla circolazione delle persone, la coartazione dei movimenti per le strade. A Napoli una vampata di violenza si è impadronita di una protesta che aveva, invece, di mira le restrizioni alle attività commerciali, che aveva nella pancia e nella testa la paura di nuove chiusure e di nuove crisi. Certo, sarebbe ingiusto negarlo, si intravede una correlazione tra il modo in cui le classi dirigenti nazionali e locali stanno soffiando da mesi sul fuoco della paura e dell’isteria da Covid, per indurre i cittadini alla massima attenzione, e le spranghe per le strade di Napoli. Troppo e troppo a lungo si è giocato sull’ansia del contagio, sulla caccia all’untore perché la gente non si renda conto che, in risposta, le soluzioni messe in campo dalla politica sono state totalmente insufficienti, se non inesistenti. Instillare il terrore e, poi, dire che l’unica soluzione è che bisogna chiudersi in casa e sprangare ogni attività commerciale poteva andar bene in primavera, con il nemico improvvisamente per le strade, non ora che si sono sprecati mesi in chiacchiere.

Napoli brucia perché è cocente la delusione di tanta popolazione ed è insopportabile lo spettro del disagio sociale ed economico. Il decisionismo di De Luca (prima le scuole, poi il coprifuoco) ha, forse a torto, esasperato la popolazione che non vuole cadere nell’alternativa tra contagio e autoreclusione e crede che ci debba pur essere una terza via per tenere sotto controllo il virus e continuare una vita più o meno normale. Il fatto, poi, che ultras, antagonisti e camorristi siano scesi per le strade alla prima occasione utile per una prima prova di forza con lo Stato non può essere visto con troppa sorpresa. Tutti ricordano il macabro aforisma del barone Rothschild per cui «quando il sangue scorre per le strade è il momento di comprare». La camorra a Napoli da sempre compra consenso e visibilità. Se le dovesse servire potrebbe anche avvelenare in modo profondo e irreversibile i pozzi della fragile società napoletana.

Per evitarlo bisogna urgentemente attrezzarsi e prepararsi alle terze, alle quarte e alle quinte ondate di contagio, sino alla ancora troppo lontana vaccinazione di massa. Per Napoli l’attenzione deve essere massima se non si vuole che l’orologio della storia torni indietro in questa guerra dai tempi incerti. E tutto assomigli a quel tempo che Curzio Malaparte tragicamente evocava con parole indimenticabili: «oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle, soltanto per la propria pelle».