Il discorso ai profughi
La furia di Papa Francesco contro l’Europa: “I confini sono il naufragio della civiltà”
«Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti», ha detto il papa, in visita al campo profughi di Lesbo, citando Elie Wiesel. Il papa e Wiesel: cioè il capo della Chiesa cattolica e uno dei maggiori e più autorevoli intellettuali del novecento, ebreo, scampato, quando era ragazzino, allo sterminio nazista. C’era una famosa canzone degli anarchici, scritta da Pietro Gori nell’800, un po’ retorica ma suggestiva, che cominciava con queste fantastiche parole: “la mia patria è il mondo intero, la mia legge è la libertà”. In realtà Pietro Gori aveva copiato una frase famosa addirittura di Seneca, il più importante filosofo della Roma imperiale. Il Papa, Wiesel, Seneca.
Quindi c’è un modo di affrontare la questione dei profughi che vengono in Italia alla ricerca di un po’ di dignità, di pace, di una vita migliore, che non necessariamente è quello della difesa dei confini. Il discorso che ha pronunciato Bergoglio a Lesbo è stato un discorso di eccezionale valore. Una frustata in faccia ai governi e ai populisti, e ai sovranisti, e ai qualunquisti di tutta Europa. Francesco ha parlato di naufragio della civiltà nello “sciabordìo dell’indifferenza”. Ha chiesto che il Meditarraneo smetta di essere un mare di morte. Vi ricordate quando anche a sinistra si parlava di “taxi del mare”, mentre la destra chiedeva la difesa dei confini, quasi fossero insidiati dal generale Radetzky? Beh, quello di Bergoglio, di Wiesel e di Seneca è un altro mondo. È l’Europa figlia del cristianesimo e dell’illuminismo. Ed è un mondo contrapposto a quello dell’Europa qualunquista, che sta prevalendo, e che grida a difesa delle radici cristiane mentre quelle radici le taglia col machete, per tornare ai valori della xenofobia e della vendetta. Il papa ha proposto esattamente i valori opposti. Quelli della Filoxenia – introducendo un nuovo termine, ostico, aspro, ma molto bello, nel linguaggio politico – e quelli del samaritano. Non crediate che nei prossimi anni sarà possibile aggirare questa divisione ideale. È imposta dai fatti. Da una parte chi sta con Seneca dall’altra i nuovi nazionalisti. I liberali, i socialisti, che oggi sembrano piuttosto impauriti dell’offensiva di Salvini o degli ungheresi o dei polacchi, troveranno il coraggio per schierarsi?
Siccome se provo a spiegarmi meglio rischio di impigliarmi nella difficoltà di questi ragionamenti, mi limito a copiare qui di seguito alcune delle frasi pronunciate da Francesco a Lesbo. La politica italiana farà finta, certo, di non averle ascoltate. È abbastanza unita, la politica italiana, su questa riva del mediterraneo. Però, alla lunga, sarà difficile dire: oh, io non sapevo niente… Ha detto il papa: «Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose… In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. È facile trascinare l’opinione pubblica instillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio?
Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Il Mediterraneo, la culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà! Si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani.
La fede chiede compassione e misericordia. Esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. Il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Perché il programma cristiano “è un cuore che vede”».
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