Le conseguenze
La Georgia tra l’aspirazione europea e l’orbita russa. Quando Bruxelles ignora la mobilitazione di un Paese

Per pura coincidenza, ho trascorso la fine della scorsa settimana a Berlino a formare per conto del governo tedesco un gruppo di alti funzionari georgiani sui temi dell’integrazione europea. Temevo reazioni ostili alla luce degli eventi delle ultime settimane ma, con non poca sorpresa, ho riscontrato solo una volontà indomita e testarda di andare avanti nel cammino europeo. Con una eccezione: un partecipante che si chiedeva ripetutamente in che modo esattamente la famigerata “legge russa” contravviene alle normative europee. Domanda solo apparentemente retorica. Ma andiamo per ordine, con la cronaca.
La Georgia e l’aspirazione europea
La Georgia, un paese di nemmeno 4 milioni di anime che una volta si sarebbe chiamato ex sovietico, da tre decenni gravita suo malgrado nell’orbita della Russia e sta con enormi difficoltà cercando di svincolarsi e avvicinarsi all’Europa. Mosca ha provveduto regolarmente a gambizzarne le aspirazioni, foraggiando enclavi separatiste, distribuendo passaporti russi e influenzando la politica interna di un popolo che per l’84% verrebbe far parte dell’Unione europea. Aspirazioni finalmente riconosciute a dicembre dello scorso anno quando, sulla scia dell’aggressione russa alla vicina Ucraina, l’Ue ha finalmente deciso di riconoscere a Tbilisi lo status di paese candidato. Evidentemente però il partito di maggioranza, Sogno georgiano, fondato dall’oligarca Ivanishvili che è riuscito a esprimere diversi governi di impronta populista nell’ultimo decennio, la pensa diversamente.
Ultima ed eclatante, appunto, la legge che obbligherà le ONG con più del 20% del bilancio proveniente da fonti estere a registrarsi come “organizzazioni che perseguono gli interessi di uno stato estero”. Di fatto, dice l’opposizione di cittadini che si è riversata nelle piazze, una legge bavaglio. Proteste che, come fu per l’Euromaidan in Ucraina nel 2013-2014, sono all’insegna dell’identità e aneliti europei della Georgia. La dimensione europea, dicevamo.
I criteri di Copenaghen
Mentre l’Eurovision proibiva per ragioni risibili l’uso della bandiera dell’Unione, i georgiani sfidavano gli idranti della polizia sventolando il simbolo a dodici stelle. All’evidenza, il motivo per il quale la “legge russa” contravviene all’Europa è palese. Il primo dei cosiddetti criteri di Copenaghen che regolano l’adesione all’Ue, recita che i paesi debbano essere democrazie liberali, con tutto il corollario di prerequisiti ad essa associati: elezioni libere, la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici e così via. Evidentemente la nuova legge, che fra l’altro arriva alla vigilia di elezioni politiche in autunno, limiterà la partecipazione e l’accesso al discorso pubblico di una larga fascia di organizzazioni che dipendono in parte da finanziamenti occidentali per sopravvivere. Tuttavia la critica mossa da quel funzionario georgiano forse in malafede non è campata in aria. Sottintende che l’Europa applica questi principi in modo arbitrario e opaco.
L’esempio lampante è quello dell’Ungheria, paese ormai orgogliosamente illiberale a cui l’Europa finora ha opposto un appeasement spesso imbarazzante. In gergo brussellese si chiama “condizionalità”: il ventaglio di incentivi e penalità che l’Europa riesce a imporre per accompagnare riforme dei paesi membri. In Italia le abbiamo ben presenti soprattutto nella sfera economica. Sul criterio politico-democratico, però, i margini di interpretazione sono molto più elastici. E soprattutto, a meno di attivare l’opzione nucleare di cacciare un paese, è molto più difficile imporre penalità significative una volta che il paese è già dentro. Le conseguenze agli occhi dei georgiani, anche quelli in buonafede, sono evidenti: da un lato osservano Orban fare il bello e il cattivo tempo, bloccare gli aiuti all’Ucraina in un ricatto permanente agli altri 26. Dall’altro l’esperienza di paesi nell’anticamera europea da vent’anni a questa parte è di un’asticella che continua ad alzarsi ogni volta che fanno un passo in avanti. Questa arbitrarietà mina la certezza del processo di adesione e, di conseguenza, la credibilità dell’Europa.
Quello che abbiamo dimenticato
Tornando a Tiblisi, gli ideali con cui i georgiani guardano all’Europa sono quelli di una comunità di valori che si è costruita sul ripudio della guerra e della tirannia. Un attaccamento che da tempo abbiamo dimenticato noi che l’Europa la diamo per scontata. Quello che registrano in questi giorni è uno strano cortocircuito, dove le istituzioni di Bruxelles rimangono silenti di fronte all’ennesima straordinaria prova di appartenenza mentre la politica più cinica e spietata ha buon gioco a minarne le fondamenta. Esattamente lo stesso cortocircuito che incontrarono gli Ucraini all’indomani di Euromaidan. Gli ultimi due anni di guerra dovrebbero insegnarci che non possiamo permetterci il lusso di perseverare.
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