Dice Gesù nel Vangelo: “Non chiunque dice: “Signore, Signore”, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?” Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità”.
Caro Monsignore, questo è un passaggio molto aspro. A me sembra che qui Gesù escluda la religiosità dai valori cristiani. Persino con disprezzo. Addirittura che sconfessi gran parte della storia e delle tradizioni della Chiesa che verrà. Penso anche a quella preghiera che ai miei tempi – dico negli anni 50 e 60 – durante la messa si pronunciava in greco, ed era un passaggio misterioso ma importantissimo del rito: Kyrie Eleison… Kyrie quello è: Signore, signore… Hai voglia a dire il Kyrie Eleison, poi ti troverai di fronte a Gesù e quello ti dice: “Non ti conosco!”
Sbaglio?
(Piero Sansonetti)

Caro Direttore, come di consueto le tue domande sono precise e colgono diversi aspetti impegnativi ed importanti della fede che la Chiesa professa e annuncia. Il brano evangelico che tu riporti è un passaggio della conclusione del lungo discorso tenuto da Gesù sul monte (comprende ben tre capitoli dei 28 che compongono il Vangelo di Matteo). Un discorso – come sai bene – pieno di provocazioni: ce n’è per tutti, per quelli che fanno i devoti scandalizzati perché Gesù sta con i poveri e i peccatori, come per quelli che si credono raccomandati speciali, solo perché sono stati ammessi alla sua sequela come testimoni delle parole e delle opere che aprono il suo vangelo a tutti.
Gesù inizia il suo discorso con quelle “beatitudini” nelle quali manifesta un concetto di felicità capovolto rispetto a quello del mondo. Mentre è ben salda la convinzione della felicità legata alla ricchezza o comunque ai beni, Gesù scardina tutto e afferma: “beati i poveri!”. Certo, è una beatitudine che va compresa bene: Gesù non intendeva dire che i poveri sono beati (felici) perché sono poveri. No, i poveri sono beati perché, finalmente, è venuto sulla terra uno che ha scelto di stare con i poveri (con i miti, gli afflitti…) più che nei palazzi dei potenti (i vincenti, quelli che sanno godersi la vita, quelli che vivono alle spalle degli altri…).
Da questa dislocazione inizia il cambiamento del mondo. Se i poveri rimanessero soli, resterebbero tristi e abbandonati. Le beatitudini indicano una scelta chiara: i raccomandati di Dio – se mai ce ne sono – sono quelli che Gesù mette in cima alla lista delle passioni di Dio: quelli che la logica del godimento disprezza come “scarti”, come “perdenti”, come “illusi” (inclusi i puri di cuore, gli affamati di giustizia, i dispensatori di benevolenza), Gesù li proclama “beati”.
Bisogna fare attenzione però: esiste sempre il pericolo che anch’essi, una volta che sono stati riscattati dall’amore di Dio, si comportino con i loro simili proprio con la logica perversa dalla quale sono stati liberati. La purezza impressionante del vangelo di Gesù si lascia ammirare proprio nella chiarezza – persino tagliente – di questo ammonimento. Ricorderai, caro direttore, le parole forti di Gesù in questo senso. Per esempio. “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo” (Lc 10, 24). Oppure il ribaltamento di scena che viene annunciato in alcune parabole. Un servo aveva accumulato con il suo Signore un debito immenso, insolvibile, che gli avrebbe rovinato la vita. Ne fu liberato con un gesto grazioso e signorile, con effetto immediato. Uscito dalla casa del suo Signore, però, incontrò un servo come lui che gli doveva quattro soldi. Egli lo aggredì immediatamente, minacciando la sua vita. Il collega lo supplicava, in nome della sua famiglia e dei suoi figli, come lui stesso aveva fatto con il suo Signore. Ma lui non voleva sentire ragioni. Gli altri servi come lui riferirono l’episodio al Signore. Ed egli, che lo aveva assolto dal debito nei suoi confronti, lo fece punire per la prepotenza nei confronti del suo fratello. Più forte ancora è il finale di una parabola che racconta di un banchetto sontuoso, allestito per gli amici del Signore della parabola, e disertato senza alcun riguardo. L’invito fu immediatamente girato ad una folla di poveri, senzatetto, marginali di ogni tipo. Il Signore della casa, felice di avere scoperto la felicità di una festa che non risentiva affatto della mancanza dei “soliti noti”, si aggirava compiaciuto fra i tavoli. Finché non incontrò uno dei suoi improbabili commensali che non aveva indossato il vestito buono che a tutti era stato fornito per l’occasione. Una mancanza di riguardo ingiustificatamente arrogante del neo-invitato, simile a quello dei raccomandati di cui aveva preso il posto: e lo stile. Il Signore lo congedò senza esitazione.
Ecco, sono questi quelli che dicono “Signore, Signore”, senza convertire il loro pensiero e la loro azione allo stile evangelico di Dio. Può accadere anche ai discepoli della prima ora, che pretendono un trattamento privilegiato solo perché hanno ricevuto il dono di guarire i malati e cacciare i demoni. Poi, nella realtà, si appropriano di questo potere ricevuto dall’alto per ottenere un accesso a Dio che negano a quelli che stanno in basso (secondo loro). Il cristianesimo stesso conosce bene, a sue spese, di quanta arroganza possano rivestirsi, nei confronti del popolo delle beatitudini, anche i “convertiti”, i “devoti”, i “militanti” del “partito di Dio”. Non vediamo, anche ora, quanto odio e quanta arroganza sono messi in circolazione dai duri e puri che difendono la religione della legge dalla giustizia della grazia?
Con quella espressione forte che tu hai ricordato, Gesù ammonisce tutti, a incominciare da noi credenti che siamo i più esposti, proprio in ragione del dono che abbiamo ricevuto perché sia distribuito: la presunzione che trasforma anche i seguaci religiosi del cristianesimo in uomini e donne di potere, che pretendono una speciale copertura evangelica per la loro mancanza di misericordia, in cambio dell’apparente coerenza delle loro parole e delle loro opere, non otterrà loro alcuno sconto. E anche nessun riconoscimento. Sono falsificatori della verità evangelica e abusivi della sua grazia. La malignità particolarmente odiosa di una passione religiosa – come anche di una passione politica, erotica, familiare, intellettuale – che si perverte nel suo contrario è il tema di un enigma drammatico, dalle tragiche conseguenze. Perché non dichiara apertamente – almeno – la coscienza della sua perversione: ma cerca la sua giustificazione nella devozione religiosa, nella legittimazione politica, nei legami del sangue, nella sublimazione dell’eros. Le corruzioni e le tragedie peggiori della storia sono figlie di questa orribile contraffazione degli affetti più sacri e più cari della specie umana. La complicità con questa perversione – che supera i limiti della nostra comprensione e prende possesso di figure umane spesso del tutto insignificanti – è un tratto particolarmente enigmatico del mistero del male. Un tratto “demoniaco”, appunto, secondo la fede. Esiste forse un altro modo per pensarlo realisticamente?
In questo orizzonte va compresa la critica di Gesù ad una religiosità tutta esteriore, che altrettanto facilmente diventa arrogante, persecutoria, distruttiva dell’amore e della misericordia di Dio verso i deboli, i vulnerabili, come anche vero i miti e i misericordiosi. Non sono i riti e le regole e neppure i miracoli o le profezie che salvano, ma, appunto, solo l’agape, l’amore di Dio.
In questa chiave si potrebbe persino dire che il cristianesimo non è una “religione”: nel senso di un complesso di pratiche e di riti da compiere, o di miracoli da fare e profezie da ripetere, per guadagnarsi il privilegio di trovarsi – comunque – dalla “parte” di Dio. L’amore evangelico di Dio infrange questo confinamento: Gesù “non fu geloso della sua appartenenza divina”, e abitò le parti più oscure dell’umano mortificato e tradito, per accogliere anche quelle nel grembo del riscatto e della liberazione dal male.
Seguirlo in questo cammino è la nostra fede.
Le religioni sono un impegno – generoso e lodevole – dell’uomo per raggiungere Dio: l’impresa è lodevole, ma non all’altezza dell’impegno di Dio per raggiungere l’uomo. Quando invochiamo il Signore, dobbiamo rispecchiare la nostra commossa ammirazione per quello che Lui fa, non la nostra presunzione per quello che ci ha concesso di fare. La differenza è sottile e abissale: perciò la provocazione la segna col suo sangue. Quando diciamo Kyrie eleison, lo supplichiamo di impedirci di oltrepassarla. Tanto meno nel suo nome.