Qualcosa deve esser successo se la gloriosa Gregoretti finisce sulla home page della Guardia Costiera per aver sequestrato 6 pesci spada “tagliati in pezzi allo scopo di rendere più complessa la misurazione della loro lunghezza per eludere la sanzione prevista per la materia in sottomisura”. La nave Gregoretti ce la ricordavamo perché salvava vite umane. Che fine hanno fatto quelle foto della plancia assolata solcata dagli sguardi indicibili di persone appena tirate fuori dalle onde? I cinquantacinquemila migranti salvati dalla Guardia costiera nel 2022 sono spariti dalla comunicazione che il corpo fa di se stesso. Sostituiti da 267 tonni sottomisura e da ben sette quintali di lampughe sprovviste della documentazione prevista dalle norme sulla tracciabilità scovate il 21 novembre scorso durante un’ispezione della nostra Guardia costiera che, una volta, non aveva come fiore all’occhiello la lotta alla pesca di frodo.

Eppure dal 21 novembre ad oggi più di novemila persone ha tirato fuori la guardia costiera da barconi alla deriva. Nei comunicati visibili on line però spariscono, in favore delle lampughe.
Chi sa di mare dice che è dal 2019 che la Guardia costiera è finita sotto schiaffo e i salvataggi li fa, ma sta ben attenta a non sbandierarli. Da allora subisce una sorta di subordinazione di fatto a Viminale. Prima di allora il Centro di coordinamento del soccorso in mare di Roma decideva in piena autonomia se bisognava avviare una operazione di salvataggio in mare o no. Le operazioni di polizia in mare erano subordinate alle attività di soccorso. Da allora in poi, mascherato dalla necessità di arrestare gli “scafisti” – che se sono in un gommone insieme agli altri in balia delle onde trafficanti evidentemente non sono – si è imposto il principio della priorità delle indagini di polizia. I migranti non sono più stati qualificati come potenziali naufraghi, ma come migranti in transito che possono essere considerati “ vittime di tratta” e clandestini in ingresso illegale. E così anche alle Ong che fanno salvataggi da allora (da un po’ prima per la verità) viene fatta la guerra con l’argomentazione sconcertante che l’attività di soccorso impedirebbe la cattura dei favoreggiatori e ostacolerebbe le indagini.

Una direttiva (tirata fuori ieri da Alessandra Ziniti su Repubblica) emanata nel 2019 da Salvini, allora ministro degli Interni – direttiva che ne richiama un’altra firmata da Beppe Pisanu (Forza Italia) nel 2005 e mai applicata prima che uscisse quella di Salvini nel 2019 – ordina di “attenersi scrupolosamente alle indicazioni operative al fine di prevenire l’ingresso illegale di immigrati sul territorio nazionale”. È il pezzo di carta che mostra l’operazione del Viminale sulla sovranità decisionale della Guardia costiera riguardo ai salvataggi. Basta una direttiva ministeriale a spiegare la disponibilità di un corpo militare a farsi ridimensionare una missione, quella del soccorso dei naufraghi, che è scritta nella legge del mare da sempre? Basta davvero la visita di Matteo Salvini al Comando, avvenuta subito dopo il suo insediamento a capo del ministero dell’infrastrutture nel governo Meloni, a spiegare la permeabilità della Guardia costiera ai voleri del ministro leghista al punto che l’ufficiale del centro nazionale di coordinamento del soccorso italiano sabato, informato della nave con i 47 migranti alla deriva in acqua internazionali e in Sar libica, ufficiale che non ignora a quale vuoto corrisponda l’espressione Sar libica, alla domanda su chi assumerà il coordinamento e la responsabilità delle persone, incredibilmente, attacca il telefono?

Una catena di atti mancati dal 25 febbraio scorso non si può spiegare solo con la subordinazione al Viminale e ai desideri del Ministro delle infrastrutture, Salvini, che della Guardia costiera è formalmente capo. Si tratta di un corpo militare con una storia. Serve una adesione volontaria e molto zelante di qualcuno che ha molto potere operativo in mano per spiegare una strana catena di atti mancati. E una serie di sottoposti che si adeguano. Per convenienza, per opportunismo, per timore. Perché la guardia costiera non ha ancora spiegato se ha chiuso e quando l’evento Sar 384, aperto già venerdì 24 febbraio e ancora aperto quando ha ricevuto la segnalazione da parte di Frontex del barcone Summer Love poi naufragato con la sua stiva piena di decine di bambini. E, in caso, come l’ha chiuso e perché. È fondamentale saperlo. È arrivata forse un’altra barca di cui non è stata data notizia? Questo non risulta a nessuno. Non è stata individuata nessuna barca? È possibile che a lanciare la richiesta di aiuto sia stato una delle persone poi naufragate a Cutro? Non ha spiegato la Guardia costiera perché non ha mandato soccorsi immediatamente dopo aver ricevuto la segnalazione Frontex. E non ha spiegato se è vero che la Guardia di finanza dopo esser tornata agli ormeggi per il maltempo la notte tra il 25 e il 26, poco prima del naufragio del Summer Love, ha chiamato la capitaneria di porto sollecitando una sua uscita anche congiunta e s’è sentita rispondere che no, la guardia costiera non sarebbe uscita per i soccorsi.

A sentire i pochi che dentro il corpo militare parlano, l’operazione di sottomissione di fatto della Guardia costiera al Viminale sarebbe cominciata durante il governo Conte 1, con Salvini agli Interni che si mette ad assegnare il porto di sbarco (sempre stato competenza delle Capitanerie di porto). Alle infrastrutture c’era un trasparente Danilo Toninelli sotto i cui occhi sono passati i cambiamenti della distribuzione delle competenze nei salvataggi in acque internazionali. Sta di fatto che sono cinque anni che i vertici del corpo non parlano pubblicamente di soccorsi. L’ultimo fu l’ammiraglio Pettorino nel giugno 2018 “Noi non abbiamo mai lasciato da solo nessuno in mezzo al mare” disse. Fu lui a raccontare agli ignari Toninelli e Salvini la notte del 16 ottobre del 1940 del comandante della Regia Marina Salvatore Bruno Todaro che salvò i nemici naufragati, fu lui il primo a citare quel “ho duemila anni di civiltà sulle spalle” (che s’è giocato Renzi in Senato davanti a Piantedosi). L’ammiraglio Pettorino passa per essere l’unico che resistette alla pressione del Viminale. Dopo di lui, dicono, “molto malumore ma niente piedi puntati. Anche tra i suoi, però, c’è chi maligna che “la sua resistenza durò 15 giorni, poi s’acquattò con discrezione e più tardi, a scenario raffreddato, fu premiato…”.

Oggi il capo della Guardia Costiera è l’ammiraglio Carlone. Che tace. Dopo la strage di bambini a 40 metri dalla riva calabrese ha mandato il suo portavoce da Bruno Vespa. Il portavoce non ha chiarito un bel nulla. Poi, il 7 marzo, l’ammiraglio ha inviato un messaggio di fiducia e orgoglio di corpo ai suoi sottoposti in cui ricorda che “la funzione del soccorso marino è un pilastro del nostro agire”. Lui è persona che i soccorsi li fa, li ha sempre fatti. È stato lui a far mettere agli atti nel 2017 che un barcone carico di migranti senza le condizioni per navigare in completa sicurezza è da considerare a rischio naufragio e quindi da soccorrere. Alcuni dei suoi lo danno come capro espiatorio già pronto lì sull’altare del governo. Tra i favoriti al suo posto ci sarebbe l’ammiraglio Liardo. Molto più gradito al governo Meloni. Sarebbe una tombola per Salvini.