In inglese si dice “No Jews, no news”, se non sono coinvolti ebrei non fa notizia. Lo sanno bene i ProPal che protestano nelle nostre piazze, gridando slogan a favore di regimi islamici jihadisti antioccidentali. Lo sanno bene tutti quelli che più o meno apertamente sono disposti ad accettare un governo terrorista a Gaza piuttosto che appoggiare il sacrosanto diritto di Israele a difendersi. Israele, che è l’unica democrazia di stampo occidentale del Medio Oriente, è anche l’unico paese che in quella parte del mondo ha fatto della diversity un valore irrinunciabile: dagli arabi israeliani, ai drusi, ai cristiani, agli immigrati, alla comunità LGBTQ, in Israele tutti hanno pari diritti e pari opportunità. Molto più di quanto accada nelle nostre democrazie.

Eppure oggi assistiamo a indignazione a volte al limite dell’isterismo per tutto quello che riguarda la stella di Davide. È in atto sulle masse una campagna di disinformazione e mistificazione globale, ben pianificata e ben orchestrata, che ricorda molto la primavera araba del 2011 e che parte dal minimizzare se non addirittura negare la strage del 7 ottobre (su cui poggia l’intervento armato di Israele), e che prosegue con l’introduzione di termini come “pulizia etnica” e “genocidio” utilizzati con l’intento di paragonare la guerra di Gaza alla Shoah, e quindi minimizzare la colpa collettiva europea per la morte di 6 milioni di persone. Elemento fondamentale di questa strategia mediatica è il numero di morti a Gaza, fornito e gonfiato dai terroristi di Hamas che hanno capito una cosa semplice: fare leva sull’uso dei social media per rendere socialmente accettabile quello finora non lo era, ovvero l’odio per gli ebrei e per tutto quello che li riguarda.

Parte così una propaganda fatta di numeri di morti che non a caso sono sempre bambini e donne e mai terroristi, di filmati e foto di aberrazioni ripescate dalla guerra in Siria o in Afghanistan e spacciate per brutalità dell’IDF. In questo mare di fake news abbiamo assistito anche a immagini create con l’intelligenza artificiale. Le notizie della brutalità di Hamas e della Jihad islamica o quelle dei tunnel sotto le scuole, gli ospedali e le sedi delle organizzazioni “umanitarie” come l’ormai compromessa UNRWA (che ha dipendenti accusati di affiliazione terroristica) vengono invece minimizzate se non giustificate. Questa campagna globale ha lo scopo di riaccendere in Occidente un odio che è stato nascosto per 80 anni. Che c’è sempre stato ma non poteva essere liberato perché socialmente inaccettabile.

Per capire quanto sia pretestuoso il movimento ProPal, basta osservare la totale indifferenza e la mancanza di indignazione per gli attentati islamici in Nigeria del 1° luglio scorso, dove tra i 32 morti molti erano bambini e donne (alcune anche incinte) e dove uno degli attentatori che si sono fatti esplodere era una donna e portava un bambino sulla schiena. Questo tragico e vile evento non interessa nessuno. Tanto meno quelli che sui social media, in ogni post, da quelli sulla pesca delle sardine a quelli sul traffico della Capitale, si sentono in diritto di scrivere commenti come “free Palestine” o “e che vogliamo dire dei bambini morti a Gaza?”.

Gente a cui si può solo rispondere: e che vogliamo dire dei bambini morti in Nigeria? E dei bambini morti in Siria? E dei bambini morti in Afghanistan? E delle donne Yazide rapite dagli estremisti islamici e rese schiave sessuali? Cosa vogliamo dire delle associazioni femministe come “Non una di meno” che si sono rifiutate di manifestare con le donne pro-Israele l’8 marzo e a cui ignobilmente non è uscita una sola parola di solidarietà per le donne ostaggio a Gaza e quotidianamente abusate? A tutte queste entità, e molte altre possiamo dire solo una cosa: vi abbiamo visti. Vi state nascondendo dietro a un velo che non nasconde quello che siete e la storia vi coprirà di vergogna. La Palestina è solo il mezzo che vi permette di esprimere l’odio più inconfessabile: l’antisemitismo.

Costanza Esclapon

Autore