Singapore è la Città-Stato più famosa al mondo. In sanscrito vuol dire “città del leone” e la parte del leone la fa in molti campi. È uno dei principali centri finanziari del mondo. È una delle principali città cosmopolite del globo. È tra i primi porti su scala mondiale per attività e traffico. È il Paese più densamente popolato dopo il Principato di Monaco. Ha la più alta concentrazione di milionari in rapporto alla popolazione. Singapore è fiera di tutti questi suoi primati e ne fa pubblico vanto. Ha un altro primato, quello della “guerra alla droga”, ma non vuole che nessuno ne parli. È una guerra senza quartiere, spietata fino alla morte. A Singapore puoi finire sulla forca se ti beccano con 15 grammi di eroina o con mezzo chilo di cannabis.

Il 2022 si preannuncia come l’anno più brutale della “guerra alla droga” a Singapore. Dalla fine di marzo, dopo due anni di tregua dovuti alla pandemia, le autorità hanno recuperato il tempo perduto e hanno ripreso a tirare il collo a un ritmo mai visto prima. Sei uomini sono stati impiccati, altri tre si sono salvati per miracolo. Nella furia di esecuzioni, ad aprile, è finito sulla forca anche un disabile mentale. Il 22 luglio è toccato a Nazeri bin Lajim, un uomo di 64 anni condannato per possesso di 33 grammi di eroina. Ha lottato contro la sua tossicodipendenza da quando aveva 14 anni. È entrato e uscito dal carcere più e più volte fino alla sua ultima tragica uscita. L’ultimo condannato per droga è stato appeso a una forca alle prime luci dell’alba del 26 luglio. La sua esecuzione è avvenuta nel più rigoroso segreto. Si sa solo che era un cittadino malese di 49 anni, arrestato nel 2015 per traffico di cannabis. Anche i membri della sua famiglia, gli unici autorizzati a darne notizia, hanno scelto il più stretto riserbo.

I Giardini botanici di Singapore sono una delle più popolari attrazioni turistiche e sono stati premiati come patrimonio dell’UNESCO per la loro preziosa collezione di oltre 3.000 specie di orchidee. La prigione di Changi, una delle più temute mete del Paese, è nota per la sua disumanità e per la sua povera “collezione” di appartenenti alla specie umana. Nella seconda guerra mondiale, i giapponesi l’avevano riempita di prigionieri di guerra alleati. Dopo la liberazione, la prigione fu utilizzata dagli inglesi per detenere i prigionieri di guerra giapponesi e tedeschi. Oggi il carcere è destinato ai nemici della “guerra alla droga”, una guerra che a Singapore non sembra vedere mai la pace. La maggior parte delle 496 persone giustiziate nella città-stato dal 1991 sono state condannate per reati di droga. Impiccate nello stesso cortile dove negli anni ‘40 tre forche furono erette dai soldati britannici per le esecuzioni.

Attualmente, le persone detenute a Changi e destinate alla morte sono circa 60, un numero significativo per un paese così piccolo. Il braccio della morte è sempre sovraffollato e le esecuzioni sono pianificate non perché è giunto il momento della resa dei conti, ma semplicemente per fare spazio ai “nuovi giunti”. La loro vita è trattata come un problema amministrativo, di capienza regolamentare e di capienza massima tollerabile per la qualità della vita nel braccio della morte. Così, i condannati a morte vivono nel timore che arrivi il giorno degli avvisi di esecuzione. Sono notificati ai familiari tramite una lettera dal carcere e una telefonata giusto in tempo per fare le ultime visite e i preparativi del funerale. Prima di andare alla forca, nella prigione di Changi, si svolge anche una bizzarra sessione fotografica: i detenuti sono costretti a sedersi sorridenti davanti alla telecamera coi loro vestiti preferiti.

I giornali parlano della pena di morte solo quando le autorità rilasciano una dichiarazione, altrimenti fingono che la questione non esista. Spesso non riferiscono nemmeno quando è avvenuta un’esecuzione. Nessun partito politico è disposto a sollevare il tema in parlamento. Gli avvocati rischiano anche di essere accusati di abuso del processo giudiziario e di pagare ingenti spese processuali per la presentazione di ricorsi oltre il processo di primo grado e l’appello. Nel cuore della città-giardino patrimonio dell’umanità c’è un solo parco, Hong Lim Park, dove si possono tenere convegni pubblici non autorizzati. Ad aprile, due manifestazioni contro la pena di morte hanno attirato folle di centinaia di persone, tra attivisti abolizionisti e familiari dei condannati a morte. Un evento significativo in un Paese come Singapore dove lo slogan “legge e ordine” ispira la violenza di Stato. Sono state manifestazioni di speranza quelle tenute al parco di Hong Lim, ispirate da un’altra legge, da un altro ordine, votate alla sacra triade dei diritti umani universali – il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona – che sono il patrimonio dell’umanità più prezioso da tutelare.