La guerra tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza è un fragile equilibrio. Un meccanismo che riguarda non solo i comandi militari e i decisori coinvolti direttamente nel conflitto, ma anche la diplomazia mondiale. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato ieri una risoluzione che “chiede a tutte le parti di autorizzare e facilitare la consegna immediata, sicura e senza ostacoli di assistenza umanitaria su larga scala” a Gaza e di “creare le condizioni per una cessazione duratura delle ostilità”. Il testo, approvato con 13 voti favorevoli e con l’astensione di Russia e Stati Uniti, indica due dati. Il primo è la volontà di alleviare le sofferenze della popolazione palestinese premendo su Hamas e Israele per evitare conseguenze ancora più dure per i civili. Molto nette le parole di Lana Zaki Nusseibeh, ambasciatrice degli Emirati Arabi Uniti e promotrice della risoluzione.

“Se non prendiamo misure drastiche, ci sarà la carestia a Gaza” ha detto la funzionaria, e il documento “risponde con i fatti alla disperata situazione umanitaria del popolo palestinese”. Il secondo elemento però è anche l’impossibilità di inserire la richiesta di un immediato cessate il fuoco. Una scelta che, come hanno più volte spiegato i funzionari statunitensi, Washington ha assunto perché la presenza di Hamas non fornisce garanzie di sicurezza allo Stato ebraico. L’emendamento che prevedeva la “urgente sospensione delle ostilità”, sostenuto da Mosca, è stato bocciato dagli Usa, che hanno così confermato la loro posizione di sempre.

Gaza, la denuncia della Cnn: “Sganciate bombe da una tonnellata”

La pressione sulla fine del conflitto inizia a essere elevata anche nell’opinione pubblica statunitense. Ieri la Cnn ha scritto che, dallo studio delle immagini satellitari, a Gaza sarebbero state sganciate centinaia di bombe da una tonnellata, con conseguenze disastrose in termine di vittime in uno scenario “che non si vedeva dalla guerra in Vietnam”. Ma Joe Biden e la sua amministrazione sono stati chiari: senza la sconfitta di Hamas, gli Stati Uniti non possono premere per la fine della guerra e Israele non potrebbe cedere al pressing della comunità internazionale. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, commentando la risoluzione ha scritto: “Israele continuerà la guerra fino al rilascio di tutti i rapiti e all’eliminazione di Hamas nella Striscia di Gaza. Israele continuerà ad agire secondo il diritto internazionale, ma rivedrà tutti gli aiuti umanitari a Gaza per ragioni di sicurezza”.

Israele e la caccia a Yahya Sinwar: “E’ nei tunnel di Gaza”

Sull’operazione militare è stato di nuovo chiaro anche il ministro della Difesa Yoav Gallant. “Nel nord della Striscia di Gaza, l’operazione sta gradualmente completando gli obiettivi che ci eravamo prefissati, lo smantellamento dei battaglioni di Hamas e l’eliminazione delle sue capacità sotterranee”, ha affermato Gallant. Che ha anche ammesso l’ampliamento delle operazioni su tutto il territorio e minacciato il nemico numero uno di Israele nell’exclave palestinese, Yahya Sinwar: “Presto incontrerà anche le canne dei nostri fucili”. Per l’intelligence dello Stato ebraico, l’uomo è nascosto nella rete di tunnel che si snoda sotto la regione. Le Tsahal stanno procedendo alla distruzione delle gallerie scoperte durante l’avanzata, e questa rete è ancora oggi la chiave strategica per la sconfitta di Hamas e del Jihad islamico palestinese, nonché per la liberazione degli ostaggi che sono tuttora nelle mani dei terroristi.

Guerra a Gaza, le trattative per ostaggi e cessate fuoco duraturo

Sulla loro liberazione si giocano gran parte delle trattative in corso in questo momento tra lo Stato ebraico e gli esponenti delle sigle palestinesi: negoziati mediati da Stati Uniti, Qatar ed Egitto. Ieri, Hamas ha ribadito di essere disposta a trattare per liberare le persone sequestrate “ma non senza un cessate il fuoco duraturo e la fine di questa guerra contro il popolo palestinese”. La dichiarazione, rilasciata ad Al Jazeera da Husam Badran, membro dell’ufficio politico del gruppo, conferma la linea che da alcuni giorni è diventata il mantra dell’organizzazione che controlla la Striscia: giungere non a una momentanea tregua ma a un cessate il fuoco duraturo. Il governo israeliano, sul tema delle persone rapite, è molto sensibile. L’opinione pubblica preme su Benjamin Netanyahu, specialmente dopo lo shock dei tre ostaggi uccisi per errore dalle Idf. E ieri è giunta anche la conferma della morte di un altro cittadino rapito il 7 ottobre: il 73enne Gadi Haggai. Continua inoltre a destrare preoccupazione il fronte nord, quello del Libano. Un militare israeliano di 19 anni è stato ucciso da un attacco missilistico proveniente dal Paese dei cedri. Le Idf hanno colpito le postazioni di Hezbollah, mentre la diplomazia è a lavoro per disinnescare la crisi. Israele vuole che la milizia sciita si allontani dal confine. Gli Stati Uniti si sono attivati per trovare una soluzione al problema e anche dal governo di Beirut è arrivata la disponibilità ad adempiere alle risoluzioni internazionali ma “a condizione che la parte israeliana faccia lo stesso e si ritiri dai territori occupati”.