Il deputato di Iv attacca i dem
“La guerra del Pd a Calenda è tafazzismo, a Roma mai con i grillini”, intervista a Roberto Giachetti
Roberto Giachetti, Italia Viva, rende giustizia alla scuola radicale dove si è formato – prima della Margherita di Rutelli, prima degli anni nel Pd – facendo proprio quell’esercizio della verità che gli è costato caro, nei rapporti spesso sensibili della politica. «Avete la faccia come il culo», gridato in un epico duello durante una direzione Pd con l’allora capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, è negli annali. «Adesso Conte chieda scusa a tutti, a nome del Governo», è il suo post su Facebook più condiviso di sempre. «L’improvvisazione, l’assenza di dati, il clima di incertezza che si riverbera sulla vita degli italiani è inammissibile», ci dice. Ma partiamo da Roma: è stato l’ultimo candidato Sindaco per il centrosinistra. E tutte le strade, se non vi portano, sicuramente partono da Roma.
Con Calenda, senza se e senza ma.
Calenda è romano. È una persona competente, che conosce Roma. È determinato, aggredisce i problemi e non molla finché non li ha risolti. Francamente, che cosa dobbiamo aspettare di più?
Perché nessuno vuole metterci la faccia?
Quando mi candidai io a Roma, Roberto Morassut decise di correre alle primarie anche per renderle più serie e credibili. Mi candidai sulle macerie di Mafia capitale, sapendo che l’impresa era quasi impossibile, ma ci misi la faccia e tutto il mio impegno. Candidarsi a guidare la città che si ama non dovrebbe essere uno stigma. Oggi c’è una girandola di nomi, Letta, Gualtieri… tutti fanno sapere di non pensarci per niente. Hai uno che generosamente si mette in campo, dà la sua disponibilità per un progetto condiviso, e i Democratici fanno le barricate?
Più avversi a Calenda che alla Raggi, si direbbe.
Io le barricate che stanno facendo dal Pd contro Calenda non le ho mai viste contro la Raggi e i Cinque Stelle. Non si fa opposizione ma ci si impegna contro uno che si candida dalla loro parte, è folle. È suicida. Un meccanismo che ho già visto.
Con la sua candidatura?
Quando mi candidai io ebbi subito la scissione di Fassina che si candidò contro, D’Alema che faceva training per i futuri assessori M5S e metà del partito che se ne andò in campagna, piuttosto che votarmi. Il tafazzismo del Pd di Roma, dopo Veltroni, ha fatto scuola.
Rumors: c’è una giostra di nomi da bruciare, alla fine si candida Zingaretti che fa un accordo di desistenza con i Cinque Stelle, magari in collegamento tra più città.
Francamente siamo nella commedia dell’assurdo. Zingaretti dovrebbe semmai entrare al Governo, con una posizione importante. E poi se per vent’anni hai fatto attività amministrativa, tra Provincia e Regione, non puoi avere come traguardo quello di fare il Sindaco. È un’altra delle voci che si fanno circolare per sbarrare la strada a Calenda.
Fa bene Calenda a sottrarsi alle primarie?
Non ha detto «No, non sono disponibile». Ha detto che va chiarito qual è il perimetro della coalizione, e qui dobbiamo uscire dalle ambiguità: il Pd non fa le barricate contro Calenda perché è contro Calenda. Le fa perché Calenda scopre le carte dell’accordo con il Movimento Cinque Stelle. E non è che il Movimento ha responsabilità inferiori o diverse rispetto alla Raggi. Perché è la prima volta nella storia del Campidoglio che un Sindaco ha la maggioranza assoluta. Tutti, da Rutelli a Marino, hanno avuto una maggioranza con diversi partiti e tante divisioni interne. La Raggi ha lavorato solo con il Movimento Cinque Stelle. Con quale criterio si dice – come dice il vice segretario Pd Orlando – che se la Raggi non è in campo si può discutere con i Cinque Stelle?
Non andrebbe bene nessun altro nome indicato dai Cinque Stelle?
Noi di Italia Viva non saremmo minimamente disponibili. Siamo per una alleanza di centrosinistra e per darle forza dobbiamo ringraziare la disponibilità di Carlo Calenda. Chiarendo da subito che i Cinque Stelle devono essere fuori.
Poi, via libera alle primarie?
Poi se ne può discutere, ha detto Calenda. Io farei notare a Dario Franceschini una cosa: se sostiene che il rischio covid sia troppo alto nei cinema dove ormai andavano dieci persone, come si può voler fare le primarie con le file ai gazebo o riempiendo le sezioni del Pd? La federazione del Pd di Bologna lo ha detto: c’è il covid, non si tengono le primarie. È agli atti. A Roma invece sono diventate un dogma. Votando alle primarie – e solo a Roma – si ottiene una protezione speciale dal virus. Il Pd è zona franca dal covid? Buono a sapersi.
Ma lo strumento in sé funziona? Va ripensato?
Le primarie sono uno strumento di selezione della classe dirigente che può funzionare, tutto dipende da come sono fatte. Ma non devono essere un tabù. Francesco Rutelli non ha mai fatto le primarie. E nemmeno Veltroni. Se riconosciamo che sono stati i più bravi sindaci che Roma ha mai avuto, riconosciamo che ci può essere vita al di fuori delle primarie.
A Roma c’è sempre stato un grande decisore, Bettini.
È un grande decisore che è diventato il grande suggeritore nazionale, non più solo romano. Ci sono dinamiche che mi fanno sorridere: ogni volta che c’è un’intervista di Orlando su un giornale, ci deve essere quella con Bettini su un altro giornale. È una persona di grande intelligenza e di grande cultura, dunque lo spazio che ha è meritato. Ma la virata che ha preso il Pd, quella del suo ritorno alle origini, al vecchio Pci, si deve anche a Bettini.
C’è una diarchia di fatto nel Pd, tutta romana, Zingaretti-Bettini?
Adesso Bettini ha creato una sua corrente ufficiale, nel Pd. Non è più un suggeritore, è diventato un protagonista del dibattito nel Pd. Questo contribuisce a mettere in chiaro le posizioni.
Nel centrodestra si parla di Bertolaso come candidato Sindaco.
La candidatura di Bertolaso è importante. Sarebbe un grande arricchimento per la città. È capace e competente, è stato commissario per il Giubileo quando ero in Campidoglio con Rutelli. È schierato dall’altra parte ma io lo rispetto molto. In democrazia è un bene quando tra avversari c’è rispetto e stima, non deve esserci sempre e solo avversione frontale.
In ogni caso, servirebbe una riforma amministrativa profonda per Roma.
La Capitale deve diventare tale davvero, come succede in Francia, Gran Bretagna e Germania. Ci vuole una legge che le dia ingenti risorse aggiuntive. È necessaria una rivoluzione amministrativa. In Parlamento si è formato un tavolo che vede partecipi tutti i partiti, con proposte concrete che riguardano poteri e risorse. Perché chiunque sarà il futuro Sindaco di Roma, è chiaro a tutti che ci vuole una agibilità in più.
Quando scrive «Il Governo chieda scusa agli italiani», che cosa vuole dire?
Conte chieda scusa a nome di tutto il governo e la maggioranza, a nome delle istituzioni. Io non mi tiro fuori, da deputato. Perché oggi dobbiamo fare i conti con una impreparazione imbarazzante. Mentre potevamo giustificare lo choc quando è arrivata la prima ondata della pandemia, che sarebbe arrivata questa seconda ondata lo sapevano anche i muri. Non voglio addossare tutte le responsabilità sul governo, ma chi aveva il compito di guidare oggi ha fallito. Parlo anche delle regioni, per quanto di loro competenza, e delle opposizioni. Tutti, umilmente, la prima cosa che dovremmo fare noi che abbiamo responsabilità pubbliche è quella di chiedere scusa per non aver saputo giocare d’anticipo, per non aver individuato le soluzioni necessarie in tempo utile per evitare il peggio. Oggi c’è chi soffia sul fuoco ed è sempre sbagliato. Ma c’è un grande pezzo del Paese disorientato e spaventato, al quale non abbiamo dato risposte, non abbiamo saputo indicare la strada.
Cosa è mancato?
Il governo dei dati. E le decisioni conseguenti. Si dicono cose contraddittorie, si smentiscono le certezze del giorno prima. Non ci sono evidenze scientifiche che giustificano la nuova ondata di chiusure. E se poi ci si dice che «è una forma indiretta di tutela, per ridurre gli spostamenti», è ancora più grave. È inaccettabile che debbano pagare quelli che – ristoratori, bar – si erano messi in regola con le norme sanitarie. Dunque ora si corregga il tiro.
Ancora una volta Italia Viva, Azione e Più Europa si trovano ad agire insieme. Nascerà da Roma un soggetto unitario?
Con la virata che ha preso il Pd nell’alleanza non più teorizzata ma praticata con i Cinque Stelle, e il polo sovranista unito dall’altra parte, è evidente che lo spazio per una forza riformista, laica, liberale, garantista esiste e si rafforza. Oggi quest’area vale il 10 per cento, ma siccome molti elettori non si schierano e non votano più perché sono schifati dall’offerta politica di oggi, è chiaro che dobbiamo costruire da qui al 2023 una federazione riformista che può ambire al 20%, modificando completamente lo scenario politico. I danni dei populisti e dei sovranisti hanno fatto allontanare le persone dalla politica. Ma dalle crisi si può e si deve rinascere più forti.
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