Mentre la guerra in Ucraina continua a mietere vittime, in Occidente si torna a parlare di pace. Il Wall Street Journal ha lanciato l’indiscrezione su un summit per la pace da tenere già prima del vertice Nato di luglio. Non si può parlare apertamente di una conferenza internazionale per la pace tra Russia e Ucraina, dal momento che da questo incontro sarebbe esclusa proprio Mosca, oltre al fatto che la base del vertice dovrebbe essere quella dei dieci punti del presidente Volodymyr Zelensky. Tuttavia, il segnale è utile a comprendere come in Occidente inizi a sentirsi la necessità di parlare di un futuro post-bellico.

Questo serve soprattutto a evitare che qualsiasi iniziativa di questo tipo sia lasciata nelle mani di altri attori al di fuori del blocco euroamericano. L’ipotesi di un vertice poco prima di quello Nato in Lituania segna infatti il ritorno dell’idea di un futuro ucraino al di là della guerra anche tra gli alleati del Paese invaso. Ciò ha un significato particolare per diverse ragioni. In primis perché altri protagonisti della diplomazia si stanno attivando per trovare canali di dialogo tra Mosca e Kiev. Nelle ultime settimane, a fare capolino sono stati tre diverse iniziative volte a trovare una mediazione. In una prima fase vi è stata la proposta cinese, arrivata con il tour dell’inviato del presidente Xi Jinping in Europa. La mossa della Repubblica popolare ha ricevuto però un’accoglienza ambigua.

Da un lato si è riscontrata la buona predisposizione di molte cancellerie al fatto che Pechino abbia deciso di impegnarsi nel cercare una mediazione, visto anche il suo sempre maggiore ascendente economico sul Cremlino. Dall’altro lato non sono mancate critiche verso le proposte del Dragone, ritenute troppo aderenti alla visione russa e come il frutto di un governo che ha troppi conti aperti con Washington e con molti membri della Nato. La seconda ipotesi in campo per un potenziale negoziato tra Russia e Ucraina è stata quella (pur molto aleatoria) di alcuni leader africani, con a capo il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa.

Da Pretoria è stata espressa la volontà di avviare una missione di pace per parlare sia con Zelensky che con il presidente russo Vladimir Putin e cercare di trovare un possibile terreno comune. L’iniziativa però è stata vista da molti osservatori come fin troppo ottimista, se non addirittura a tratti pretestuosa, dato lo scarso peso internazionale che potrebbero offrire alcuni governi. Pesano, nelle critiche, anche le relazioni tra la Russia e alcuni di questi Stati che, anche se hanno (più o meno definitivamente) condannato l’invasione da parte di Mosca, continuano ad avere un rapporto ambiguo se non profondo con la Federazione. Prova ne sono anche le ultime accuse nei confronti del Sudafrica per il presunto invio di armi a Mosca tramite una base vicino Città del Capo.

Infine, ultima ma non per importanza, ad aggiungersi a queste missioni è sopraggiunta quella del Vaticano, con Papa Francesco che ha nominato il presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, come l’uomo per tentare di trovare un tavolo per il dialogo tra Russia e Ucraina. L’iniziativa del Santo Padre ha trovato però anche nel suo caso alcuni ostacoli. Zelensky – come dimostrato dal viaggio a Roma e dalla freddezza con cui è stata data risposta alle parole del pontefice su mediazione e armi – ha fatto capire che nonostante il rispetto per la figura del pontefice, Kiev non riteneva fosse il momento di una missione di pace ma di trovare ogni modo per ottenere una “pace giusta”.

Un concetto che implica che questa fine delle ostilità debba passare innanzitutto per un completo ritiro delle forze russe e per il pieno riconoscimento dell’Ucraina come Paese autonomo e sovrano, e che per il presidente ucraino deve concretizzarsi prima di tutto nella capacità di difendersi rispetto agli assalti di Mosca. A tal proposito, vale la pena sottolineare che l’ipotesi di una conferenza per la pace proposta da Occidente (e con il sostegno di Kiev) segna un passo in avanti dal punto di vista dell’impegno degli alleati dell’Ucraina.

E questo vale ancora di più se si pensa che essa arriva non solo dopo altre ipotesi di missione da parte di Cina, Africa e Vaticano, ma anche in contemporanea ai segnali di un primo inizio della controffensiva. Per molti osservatori e leader occidentali, l’assalto di Kiev, in caso di successo, servirebbe soprattutto in chiave di un futuro negoziato. Più le truppe ucraine ottengono vittorie sui russi, più è possibile che Zelensky giunga al tavolo negoziale in una posizione di vantaggio rispetto a Putin.

Insieme al sostegno bellico, economico e diplomatico, si innesterebbe dunque anche un aiuto nella ricerca di una soluzione. Tuttavia, anche in questo caso permangono dubbi. Le indiscrezioni infatti confermano che per il governo di Kiev la base di questa iniziativa sarebbero i punti di Zelensky, che si sostanzierebbero in una sconfitta della Russia in una guerra che per Putin è esistenziale. Inoltre, come detto in precedenza, l’assenza di Mosca nella conferenza di pace rischia di essere troppo pesante per fare avanzare qualsiasi proposta.

Infine, si aggiungono altri due punti interrogativi: la presenza della Cina e del “sud del mondo”, che potrebbero vedere questo tavolo troppo legato all’appartenenza all’Occidente, e soprattutto i dubbi sulle promesse nei confronti di Kiev riguardo la sua appartenenza alla Nato. Per Zelensky questa adesione è stata ottenuta lottando contro i russi, codi come l’integrazione con i partner occidentali. Questo pensiero lo ha confermato anche nella sessione plenaria dell’Epc, in cui il leader ucraino ha affermato che “ogni Paese europeo dovrebbe essere membro dell’Ue e della Nato”.

Un segnale molto chiaro nei confronti dell’Occidente, seguito anche da Passi baltici e Regno Unito. Ma alcuni, anche oltreoceano, ancora frenano su questa ipotesi, anche per il rischio di inserire nel blocco uno Stato in guerra o con una parte del territorio occupato.