La polveriera Ucraina
La guerra in Ucraina non si farà, ecco perché Putin non scatenerà il conflitto
La guerra di Troia non si farà, ma non è poi così sicuro. Così gridava eccitato il Primo Ministro Chamberlain di ritorno da Monaco dove aveva appena firmato la capitolazione delle democrazie europee di fronte alle pretese tedesche (per carità, nessuno pensi che vogliamo paragonare la situazione oggi in Ucraina con quella della Cecoslovacchia nel 1938) le quali in fondo non sembrarono del tutto irragionevoli: il Cancelliere tedesco, il signor Hitler, a venti anni dalla fine della Prima Guerra mondiale voleva in fondo riavere tutti i territori europei in cui si parlava tedesco e che erano stati separati dalla madrepatria.
E poi, suvvia! Morire per Danzica? Il “budello cecoslovacco” può anche andare all’inferno e anzi anche la Polonia (che sarebbe stata invasa un anno dopo) se ne prese volentieri una fretta. Però, il Prime Minister Chamberlain e le premier francese monsieur Daladier avevano ben avvertito il cancelliere: non si faccia venire strane idee sulla Polonia, o ci costringerà questa volta a intervenire. E il ringhioso Winston Churchill – che sarebbe succeduto a Chamberlain dopo l’inizio della guerra – commentò: «Hanno sperperato la loro parola d’onore in cambio della pace, e alla fine avranno sia il disonore che la guerra». Fine del ricordo di quei giorni, che non hanno nulla a che fare con quelli che viviamo oggi. Tranne che per un particolare: allora come oggi, tutti pensavano e pensano ad altro, i giornali insistono a valutare la faccenda della possibile invasione russa dell’Ucraina come una notizia sostanzialmente noiosa, un obbligo di presenza e vai con Sanremo che quasi ci siamo. Ma da qualche giorno anche la stampa e le televisioni hanno capito che una vera guerra in piena Europa è davvero possibile, forse imminente.
Il Presidente Biden, come tutti i suoi sodali liberal (Clinton, Obama, Hillary particolarmente invisa al Cremlino) sono fan del vecchio unilateralismo ed “exceptionalism” americano, benché i tempi del mondo bipolare siano scaduti. Quindi, Biden è molto più rissoso (almeno in apparenza) di quanto lo fosse Trump, ai suoi tempi accomodante con Mosca, e l’America si chiede se davvero la Guerra di Troia si farà, parafrasando il noto lavoro teatrale di Jean Giroudoux. La guerra di Troia, notoriamente, poi si fece, ma non tutte le guerre escono davvero dal cappello della storia. Secondo George Friedman, uno dei più accurati e completi analisti americani (iniziò mezzo secolo fa con le previsioni del tempo, poi dei raccolti, quindi delle necessità vitali e della guerra) l’invasione dell’Ucraina con conseguente guerra sanguinosa non si farà per due motivi.
Primo: per Vladimir Putin il momento magico dell’invasione, che deve poter contare su un inevitabile effetto sorpresa, è passato da tempo, tutti sanno dei duecentomila uomini radunati ai confini dell’Ucraina, che a sua volta cerca disperatamente di ottenere armi letali, munizioni e rifornimenti per difendersi il più a lungo possibile sotto gli occhi del mondo intero, il che sarebbe politicamente inaccettabile. Il secondo motivo riguarda gli Stati Uniti: per essere in grado di fronteggiare in Europa un nemico come la Russia – che non è la superpotenza Urss – ma che è forte e ben addestrata – dovrebbero trasferire ben più degli ottomila e cinquecento uomini annunciati, cui si aggiungono tutte le unità “cyber” già sul terreno. In questo momento, mentre scriviamo e parliamo, decine di migliaia di ucraini sono incollati sui loro cellulari connessi con Washington, Londra, Parigi, Berlino e naturalmente anche con Kiev, la capitale. Il dispiegamento dell’armata russa, che canta lo stesso inno dell’Armata Rossa, è configurato in modo tale da non lasciar prevedere un attacco immediato. Per ora siamo alle esercitazioni sia nella vassalla Bielorussia (che attacca la Polonia inviando ai suoi confini profughi disperati che chiedono asilo) che in mare con un una prova di forza missilistica disponendo le navi molto lontane, nei mari dell’Irlanda.
È ora di capire quale sia la vera materia del contendere. Tutti sappiamo quello che dice Putin (che parla sempre a voce bassa e pensosa, con l’espediente retorico del bravo patriota che pensa al bene del suo popolo) e cioè che mai e poi mai la Nato deve entrare in Ucraina perché se lo facesse potrebbe installare i suoi missili a trecento miglia da Mosca creando una minaccia mortale, dunque inaccettabile, dunque proporzionata alla minaccia di una guerra preventiva. Non basta: Putin rivuole i Paesi satelliti, quelli che per mezzo secolo hanno costituito la cintura dei “buffer States”, che noi in Occidente chiamavamo paesi satelliti, e cioè Polonia, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia, le tre Repubbliche Baltiche e la Repubblica Democratica Tedesca.
Putin rivorrebbe tutto tranne un pezzo di Germania e infatti la Germania è tra le nazioni europee il Paese più morbido con la Russia da cui riceve quasi tutta l’energia che occorre alle sue industrie. Il Paese più odiato, tradizionalmente, è la Polonia, un tempo parte dell’Impero Zarista e poi nemica giurata della Russia con l’aggravate di aver vinto un secolo fa la prima guerra combattuta dai sovietici, che persero malamente pur avendo Stalin e Trotskij alla guida delle sue armate. Lasciamo stare quel che avvenne dopo, ma bisogna risalire fino al 13 maggio del 1981 quando un commando di killer organizzati dal servizio segreto bulgaro tentò di assassinare il papa polacco Karol Woytjla. La ragione di quel tentativo era nei fatti: la Polonia e non il muro di Berlino stavano facendo cadere l’impero sovietico.
Oggi la Polonia è uno stato forte e discretamente armato al quale Obama concesse, all’ultimo giorno della sua presidenza, una brigata corazzata mobile con personale americano, che vale quanto un’armata. Gli ucraini stanno costruendo trincee, sono inzaccherati nella neve e nel fango e consultano i computer che analizzano il traffico dei cellulari per calcolare le dimensioni dello spostamento delle truppe. Gruppi di commandos britannici esperti ìn cyber contrattacchi sono al lavoro da tempo, ma in definitiva tutti sanno che se davvero Putin darà l’ordine di invasione, non c’è resistenza che tenga: l’Ucraina sarò occupata, avrà un governo fantoccio, si assisterà a una repressione discreta e micidiale, dopodiché l’ordine tornerà a regnare a Kiev. Nel giro di un anno tutto sarebbe dimenticato.
Ma è davvero questo ciò che vuole Putin? Se fosse così, avrebbe già potuto farlo nelle condizioni più favorevoli di minor resistenza ucraina. Secondo la maggior parte dei diplomatici e degli analisti l’obiettivo finale di Putin sarebbe quello di ottenere una revisione della vecchia politica degli equilibri che è una antica mania russa che corrisponde alla dottrina ottocentesca delle “zone d’influenza” che consentiva interventi armati (la guerra come prosecuzione della politica) senza incorrere nelle reazioni internazionali come accadde ai tempi dell’invasione dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968 e il minacciato intervento in Polonia nel 1980.
Una settimana fa il New York Times ha ripercorso l’intera faccenda dei rapporti fra Nato e Russia, che fu discussa apertamente fra il presidente americano Ronald Reagan e l’ultimo segretario generale del partito comunista sovietico Michail Gorbaciov. Tutta la trattativa fu pubblica e gli Stati Uniti allora proposero al leader sovietico due soluzioni: o un trattato impegnativo in forza del quale la Nato non avrebbe ficcato il naso nell’ex impero sovietico tenendosene fuori, oppure una grande somma di denaro sotto forma di aiuti materiali e in valuta all’Urss, ma consentendo alla Nato di fare acquisti fra i vecchi alleati dell’Urss. Gorbaciov, dopo avere a lungo tergiversato optò per la grossa somma lasciando libera la Nato di espandersi, come subito fece subito, ottenendo l’adesione della Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Ungheria e repubbliche baltiche.
Gorbaciov fu politicamente eliminato con un piccolo golpe interno contro il quale si schierò Eltsin salendo sul carro armato che sparò contro gli insorti e che poco dopo dichiarò la fine dell’Unione Sovietica e dunque il ritorno alla libertà di grandi nazioni come l’Ucraina e la Bielorussia oltre le tante repubbliche degli “Stan” largamente islamiche. Dunque, documenti alla mano, Putin non ha alcun titolo per vietare l’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato e meno ancora ne ha quando chiede che la Nato se ne vada anche dai Paesi ex satelliti e in particolare dalla Polonia. In compenso, nessuno avrebbe l’obbligo di opporsi a un blitz in Ucraina (dove già andò a fare shopping prendendosi la Crimea) perché quel Paese non fa parte della Nato e nessuno ha particolarmente voglia di rischiare una guerra mondiale per Kiev. Tutto questo Putin lo sa perfettamente ma seguita a descrivere nelle sue conversazioni quotidiane registrate su YouTube che gli occidentali preparano una guerra, che sono dei pazzi sconsiderati e che la sua pazienza è ormai esaurita.
Inoltre, ha fatto scatenare una grande propaganda patriottica chiamando tutti i cittadini russi idealmente alle armi e tutti i giovani, comprese tutte le ragazze in splendide uniformi, partecipano a corsi premilitari, arti marziali, tecniche elettroniche e sono invitati a cantare concrescente entusiasmo il repertorio del grande coro dell’Armata Rossa.
Nessuna nazione occidentale può né vuole fare altrettanto e guarda con preoccupata distrazione a quel che succede preoccupandosi specialmente delle ricadute rovinose sul fronte energetico, perché la vera arma di Putin è il gas, del cui rubinetto è padrone e signore e il gas vale più di cento divisioni con centomila carri T-10, i nuovi misteriosi super carri collegati con i satelliti, che si dice siano la settima meraviglia del mondo delle armi nucleari tattiche modello Hiroshima.
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