Il conflitto in Ucraina è entrato in una fase complessa, che si snoda sui campi di battaglia e sui tavoli della diplomazia. La controffensiva di Kiev sta prendendo forma, avvolta da una fitta nebbia di guerra. Le notizie sono frammentarie e difficili da verificare. Tuttavia, se da una parte vengono segnalati alcuni progressi da parte ucraina, dall’altra parte non mancano indicazioni di una sostanziale resistenza russa confermata anche dall’Institute for the Study of War.
Nel frattempo, continua a giocarsi la partita diplomatica sia per gestire la guerra che per comprendere il futuro dell’Ucraina. La missione di pace africana – con l’arrivo a Kiev delle delegazioni di Congo-Brazzaville, Egitto, Senegal, Uganda e Zambia “guidate” dal presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa – è iniziata con la visita a Bucha e con l’allarme per un attacco russo. Il gruppo, impegnato in un’iniziativa che appare ai più velleitaria, ha come seconda tappa la Russia, dove sonderà i progetti e le condizioni del Cremlino per un’eventuale trattativa. Sul punto, il portavoce di Vladimir Putin, Dimitry Peskov, ha detto che il capo del Cremlino è disponibile all’ascolto ma non a sottoscrivere ipotetici accordi presentati dalla delegazione africana. L’eventualità sembra in ogni caso più che remota, visto che difficilmente i rappresentanti dei sei Paesi in missione potrebbero tentare un accordo scritto.
Tuttavia, se questo messaggio e i missili su Kiev appaiono come una doccia fredda verso l’iniziativa africana, non va comunque sottovalutata l’apertura di Mosca a un potenziale negoziato. Il Cremlino ha tutto l’interesse a mostrarsi propositivo verso Paesi di un continente in cui da tempo ha avviato un processo di radicamento. Ma la disponibilità a dialogare, anche se nella paradossale narrativa imposta da Mosca, è da interpretare non solo nei confronti dei leader africani, ma anche (se non soprattutto) su scala mondiale.
Sull’inizio della missione voluta fortemente da Ramaphosa, su cui è spesso aleggiata l’accusa di essere troppo legato a Mosca, è intervenuto anche il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Nella conferenza a margine dell’incontro tra i ministri della Difesa della Nato, il segretario generale ha detto di accogliere con favore la visita dei leader africani a Kiev definendo “importante” che vi siano “diversi sforzi per arrivare alla soluzione”. Soluzione che però, sottolinea Stoltenberg, “deve essere una pace giusta e duratura” perché “se gli ucraini smettessero ora di combattere, l’Ucraina smetterebbe di esistere come nazione indipendente. Ma se i russi smettessero, avremmo la pace”.
La linea di pensiero del segretario generale è quella che unisce tutto il blocco euroatlantico, impegnato in questa fase non solo a gestire il conflitto e in particolare gli aiuti militari verso Kiev, ma anche a delineare un futuro dell’Ucraina più o meno legato all’Alleanza Atlantica. Ma su questi due temi, le divergenze in seno all’Alleanza non sono minime e probabilmente caratterizzeranno non solo il periodo che divide questo vertice dal summit Nato di Vilnius, ma anche quello successivo.
Il sostegno militare a Kiev continua a esserci, e va dall’addestramento dei soldati e dei piloti fino all’invio di mezzi e sistemi d’arma con consistenti pacchetti di aiuti. Sul tavolo, continua però ad aleggiare il punto interrogativo dei piani europei e statunitensi sul fronte dell’industria della difesa. Non è un mistero che Bruxelles abbia da tempo avviato un percorso per investire nel settore bellico. Ma se la Nato chiede di aumentare la spesa militare – lo stesso Stoltenberg ha parlato della soglia del 2 per cento come base e non più come obiettivo – diverso è l’approccio mostrato da molti partner Ue rispetto a quello di Washington. Gli Usa chiedono che i soldi siano dirottati non solo verso le aziende del Vecchio Continente, ma anche verso quello di Paesi terzi, a cominciare ovviamente dagli Stati Uniti. In Europa, invece, specialmente su pressione francese, si punta a investimenti solo continentali per rafforzare quell’ autonomia strategica Ue che, dopo la guerra in Ucraina e il rafforzamento della Nato, rischia di diventare un tema superato.
Il dibattito rientrerà anche nel prossimo vertice di Vilnius, dal momento che le capacità dell’industria militare rappresentano un elemento centrale del sostegno occidentale all’Ucraina. Un sostegno che non è solo militare, ma anche politico e che riguarda anche la grande domanda sottintesa a questo summit: l’integrazione di Kiev nel blocco atlantico. Stoltenberg ha annunciato un “Consiglio Nato Ucraina” in cui saranno discusse le “questioni di reciproco interesse”. Alcuni alleati preferirebbero una partnership senza l’adesione. Altri, invece, chiedono tempi certi affinché l’Ucraina entri nel blocco. Una scelta che ricorda l’ultimo monito di Henry Kissinger, per il quale è necessario che Kiev entri nella Nato “dove non può prendere decisioni nazionali sulle rivendicazioni territoriali”.