Parla una giovane badante
La guerra in Ucraina vista dall’Italia, il racconto di Tamara
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La guerra in Ucraina vista dall’Italia ha gli occhi cerulei di Tamara, i suoi 26 anni e un tono di voce reso duro dal dolore, lo stesso che a tratti le provoca piccoli smottamenti. Per esempio, quando nomina la sua Maria, 5 anni, rimasta con i giovanissimi nonni a Ostër, un piccolo centro a 70 km da Černihiv, nell’Ucraina settentrionale, rasa al suolo dai bombardamenti russi, venerdì notte. E da Ostër Tamara è partita due anni e tre mesi fa per venire in Italia, a Fondi – a metà strada tra Roma e Napoli – dove vive e lavora presso una famiglia che la tratta “come una figlia”.
“Due anni e tre mesi a febbraio”, ripete spesso durante la chiacchierata: per dire quanto le sia costato e le costi ancora far campare la propria di famiglia: “Mille euro al mese e riesco a inviarne tra i 300 e i 400, a metterne da parte altrettanti ma non sempre: ogni tanto non resisto a prendere qualche vestitino per Maria, e allora spendo”. In Ucraina, se avesse avuto fortuna, lo stipendio medio sarebbe stato di 8mila grivnia, la moneta ucraina, circa 250 euro. Due anni e tre mesi senza mai tornare per avere il permesso di soggiorno, poi con il Covid conveniva stare ferme, spiega, ma a febbraio, appena in tempo prima che “quello ci invadesse”, Tamara è volata finalmente a casa: “Ho speso 20 euro per il biglietto di andata e ritorno: ora costa 200 euro ma devi atterrare in un aeroporto polacco perché i nostri sono tutti chiusi, inagibili”.
Tamara non riesce a nominare neanche una volta Putin: “Non ho mai odiato nessuno ma lui sì, per il male che ci sta facendo” e ogni volta che si riferisce al presidente russo, la voce le trema: “Sai quanti rubli fa dare alla famiglia di ogni soldato russo morto? 15mila rubli, sono circa 110 euro. E sai quanto costa un chilo di carne di maiale? L’equivalente di 20 euro”. Il dittatore russo, dunque, attribuisce alla vita di un essere umano il valore di 5 chili di maiale. Neanche di Zelensky pensava benissimo a principio: quando è diventato presidente, dopo la carriera da comico, era scettica come molti ucraini e invece si è dovuta ricredere: “È l’unico che non ci ha lasciati soli: è coraggioso, si comporta come uno di noi, e questo non lo aveva mai fatto nessuno, né Poroshenko né Janukovyč”, dice.
Nella casa dove vivono i suoi, ci sono un piccolo orto e le galline che in questi giorni di “supermercati vuoti e rifornimenti che non arrivano”, sfamano la piccola famiglia chiusa in casa: Tamara li chiama continuamente durante il giorno e mostra sul cellulare una foto delle strade deserte di Oster percorse solo da carrarmati e quelle delle macerie e dei palazzi in fiamme di Černihiv. È molto angosciata: la centrale nucleare di Zaporizhzhia è caduta poche ore prima nelle mani di Mosca e questo le richiama alla mente i racconti dei suoi nonni sul disastro di Černobyl’, nel 1986, quando ancora lei non era nata. “Per me la guerra era solo nelle loro storie: è vero che c’è da 8 anni, ma non l’abbiamo mai veramente vista prima dell’attacco di due settimane fa”.
Così, ogni mattina, prima di iniziare la giornata di lavoro, Tamara chiama la madre, tremando dalla paura per quello che potrebbe essere successo durante la notte: “Prima della guerra non credevo in nessun Dio, ora lo ringrazio quando sento la voce dei miei genitori e di mia figlia e ho al collo questa croce”. Mostra una collanina di legno con il Tau francescano e la stringe nella mano mentre fa scorrere con l’altra alcune foto felici di lei e la figlia sulla neve: “Maria sta capendo tutto della guerra, me lo dice ogni sera che “per non essere bombardati devono spegnere tutte le luci alle 7”. Così diventano invisibili e nessuno farà loro del male. Dopo tutto questo? “Andrò a prendere Maria e la porto a vivere in Italia: qui le persone sorridono anche quando vado a fare la spesa. Qui è tutto possibile”.
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