La guerra in Ucraina a un mese dal suo inizio. Scenari, prospettive, incognite. Il Riformista ne discute con un’autorità riconosciuta nel campo della diplomazia: l’ambasciatore Giampiero Massolo. Presidente di Fincantieri S.p.A. (dal 2016) e Presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – ISPI (dal 2017). l’ambasciatore Massolo, diplomatico di carriera, ha svolto funzioni di Direttore Generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza presso la Presidenza del Consiglio (2012-2016), di Sherpa del Presidente del Consiglio dei Ministri per i Vertici G8 e G20 (2008-2009), di Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri (2007-2012). L’ambasciatore Massolo è titolare di corsi sui temi della sicurezza e delle relazioni internazionali presso la School of Government dell’Università LUISS di Roma e presso la Scuola di Affari Internazionali-Sciences Po a Parigi.

Il vertice Nato di Bruxelles ha deciso: nuove armi a Kiev, tra cui droni e anticarro. E il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avverte Mosca: “Se ci saranno attacchi chimici, risponderemo”. Come leggere tutto questo, ambasciatore Massolo?
Intanto mi sembra che l’elemento che va notato prima di tutti gli altri è che questo sequel di vertici di vario formato che abbiamo a Bruxelles cementa una unità d’intenti e una compattezza dell’Occidente che è una sorta di eterogenesi dei fini di Putin. Voleva meno Nato e meno Occidente e, come risultato, ha più Nato e più Occidente ed una Europa che invece di dividersi si compatta. Questo è il primo elemento da notare. Il secondo elemento è: tutto va rapportato, visto che abbiamo un campo di battaglia aperto in Ucraina, alla situazione sul terreno.

E quale è oggi, a un mese dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la situazione sul terreno a cui rapportare scenari e azioni diplomatiche?
Putin sembra essere convinto, nonostante il fallimento della guerra lampo, di potere ancora perseguire il proprio obiettivo che è quello di ottenere una neutralità dell’Ucraina alle sue condizioni, vale a dire una neutralità disarmata e poco garantita. E poi il riconoscimento di quanto lui con la forza ha ottenuto, quindi il riconoscimento della situazione in Donbass, e l’annessione della Crimea. La sua strategia militare è quella di dare continuità territoriale al sud tra la Crimea e il Donbass, eventualmente estendendola verso ovest alla Transistria, per poi premere sulle città, Kiev, Kharkiv, le città portuali, Odessa.

E vista dalla parte ucraina?
La prospettiva è di poter costringere Putin ad una trattativa da posizioni quanto più indebolite possibile, difendendo la capitale e le principali città, ipotizzando una neutralità armata e garantita, non escludendo la prospettiva europea. Fintantoché le due parti in conflitto coltiveranno queste idee e obiettivi, evidentemente non si potrà innestare un negoziato significativo. In questo momento abbiamo sul terreno una situazione di stallo ma abbiamo anche una situazione terribile dal punto di vista umanitario, da quello delle tragedie che si stanno consumando davanti ai nostri occhi. Non spetta certo a noi chiedere agli ucraini di smettere di resistere ed anzi l’interesse della difesa dei valori della libera scelta dei popoli e l’interesse a non accettare di sottostare alle regole di Putin nel futuro ordine di sicurezza europeo, fa sì che quello che stiamo vivendo non è il momento dei dubbi. È il momento della compattezza, il momento delle forniture di armi, è il momento dell’inasprimento delle sanzioni nella misura maggiore possibile. Detto questo, c’è un però…

Quale, ambasciatore Massolo?
Come in tutte le situazioni di guerra guerreggiata, abbiamo degli ambiti che non vanno sottovalutati, messi in secondo piano. Il primo ambito è quello degli equilibri complessivi. In questa ottica, non possiamo non constatare che quanto appena detto è una visione prettamente occidentale, mentre ci sono Paesi nel mondo, la Cina, l’India ed altri, che si mantengono su posizioni di neutralità. Compito della diplomazia, in questo momento, è quello di coinvolgere il più possibile, in modo particolare la Cina, perché eserciti la propria influenza. La Cina di per sé non è determinante, ma ha una forte influenza che può esercitare sulla Russia, non fosse altro che per le implicazioni militari, perché si addivenga a dei comportamenti più contenuti, perché la violenza possa cessare. Vede, per l’Occidente Putin è morto, ma la storia degli equilibri mondiali del dopoguerra è tutta da scrivere. E non necessariamente verrà vista nella logica occidentale. Poi c’è un altro ambito, che è l’ambito di quello che può succedere sul terreno.

E sul terreno cosa potrebbe succedere?
Quello che può succedere sul terreno è che se lo stallo continua, questo stallo possa sfociare col tempo, ma temo che ce ne vorrà molto, in una situazione sostanzialmente di semi-congelamento. Magari le parti troveranno una qualche forma d’intesa provvisoria per arrivare ad una tregua. È improbabile, per quanto auspicabile, che scoppi la pace, che ci sia un accordo complessivo, perché un accordo del genere vede elementi troppo complessi che non sono alla portata, ma una tregua potrebbe esserci sul terreno, quando la Russia realizzerà che non potrà andare più avanti, quando le sanzioni europee continueranno a mordere, quando la resistenza degli ucraini indurrà a un certo punto il Cremlino a venire a più miti consigli. Quello che può succedere è che si cristallizzi la situazione sul terreno. Una situazione che definirei di conflitto semi-congelato, con il 30-40% dell’Ucraina occupata dalle truppe russe, una situazione di fatto che però consenta al Governo di Kiev e al presidente Zelensky di rimanere in carica. Sarà un congelamento non totale perché sul terreno continueranno ad esserci delle operazioni di resistenza attiva da parte degli ucraini nei confronti degli occupanti. Questo è un possibile scenario, che potrebbe prolungarsi e finire per condizionare lo sviluppo delle relazioni internazionali per un periodo di tempo abbastanza lungo. In tutto questo, esistono tre aspetti di criticità che potrebbero far sfuggire di mano una situazione già grave.

Quali sarebbero queste tre criticità?
Intanto la possibilità che Putin pensi ad un allargamento del conflitto, ad una escalation del conflitto. E questo può avvenire attraverso l’uso di armi chimiche e biologiche. E qualcuno pensa anche a un possibile impiego di armi nucleari di teatro. Oppure, che questo allargamento avvenga verso altre aree geografiche, ad esempio i Balcani, dove esistono delle minoranze slave, come i serbi di Bosnia, piuttosto che in aree solo apparentemente lontane, come il Sahel – Mali, Libia e zone circonvicine al sud – dove esiste ed opera la famigerata brigata Wagner. Putin potrebbe usare questa modalità per allargare il conflitto, come pure potrebbe puntare su un forte esodo di ucraini, con effetti destabilizzanti del flusso migratorio sui Paesi europei confinanti. L’allargamento è un elemento importante. Poi c’è un’altra criticità. Ed è la soglia oltre la quale la Nato, non si può spingere, l’Occidente non si può spingere senza essere considerato direttamente coinvolto. Perché un diretto coinvolgimento porterebbe un rischio di una deflagrazione devastante del conflitto, come dice Biden la Terza guerra mondiale. Potenzialmente. C’è infine un terzo scenario di criticità che è la guerra infinita. E una guerra infinita non se la può permettere Putin ma porrebbe dei problemi anche all’Occidente. Tutte le escalation hanno un limite, non ci può essere uno scenario di guerra infinita nel cuore dell’Europa, per ragioni intuibili. La grande sfida che si è giocata a Bruxelles, è quella di tenere in equilibrio da un lato una gradualità d’intervento, dall’altro una efficacia di questo intervento per fare sì che Putin si fermi. E in terzo luogo, mantenere molta alta la deterrenza, cioè il linguaggio della forza. Perché solo la deterrenza credibile induce una controparte come quella russa a negoziare seriamente. È il combinato disposto di questi tre aspetti che si sta giocando in questo momento: la gradualità, per non giocare subito le proprie carte; la deterrenza, per essere credibili nei propri ammonimenti, e la proporzionalità.

Tra tutti questi scenari, ci può essere anche la possibilità, che qualcuno ha evocato come ipotesi, di un golpe contro Putin, che addirittura sarebbe nei piani dei servizi segreti?
Il potere di Putin si basa su vari pilastri. Uno, è il sostanziale consenso di strati abbastanza ampi dell’opinione pubblica russa, che vengono coinvolti e “arruolati” non tanto sul benessere economico quanto sull’orgoglio nazionale. Non parlo delle grandi città, di Mosca e San Pietroburgo, parlo della “grande Russia” dove l’orgoglio nazionale conta eccome, in termini di consenso. Poi c’è un altro aspetto: quello degli interessi economici. Gli interessi economici sono compromessi dai comportamenti di Putin, ma non per tutti. C’è una componente russa di cointeressenza economica con il Cremlino, che continua a sostenere questo genere di avventurismo. E poi ci sono gli altri due elementi, che sono l’apparato militare e l’intelligence. Ora, ciascuna di queste quattro constituencies, anche loro hanno un limite. Nel senso che l’instabilità, la costrizione, la compromissione economica sono elementi che non giovano a nessuno. Però allo stato attuale, anche se le autocrazie ci hanno abituato che talvolta vengono giù di schianto, quello che si sente mi sembrano più degli scricchiolii che non una compromissione del potere putiniano. Certo è che un prolungarsi indefinito del conflitto, qualche problema lo crea anche a Putin.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.