Nel 2019 un ex prigioniero politico fuggito dall’Iran, Iraj Mesdaghi, ritenne di aver incontrato per strada, a Stoccolma, uno dei suoi torturatori, Hamid Noury, e avvertì le autorità svedesi. In realtà Mesdaghi è un importante attivista per i diritti umani e tutti noi immaginiamo che non sia stato davvero lui a imbattersi in Noury e che abbia fatto da “scudo” a qualche suo connazionale che non se la sentiva di uscire allo scoperto. Ma, a parte questo, il 9 novembre 2019 la polizia svedese arrestò l’uomo all’aeroporto di Stoccolma, da dove stava partendo alla volta di Milano.
Noury, che oggi ha 61 anni, è da poco andato in pensione dopo una carriera da dirigente del carcere di Gohardasht a Karaj, noto come Raja’i Shahr. Mesdaghi e altri 34 testimoni lo identificano con certezza come uno dei membri delle cosiddette “commissioni della morte”, tribunali sommari istituiti nell’estate del 1988 su ordine diretto di Khomeini. Le stime variano, ma tra il luglio e l’agosto di quell’anno tra i 5.000 e i 30.000 prigionieri politici vennero giustiziati e i corpi mai restituiti ai familiari.
Il 10 agosto 2021, a Stoccolma, è iniziato il processo dove Noury è accusato per circa 100 omicidi. Il processo si sta avviando alle fasi finali: il 28 aprile il pubblico ministero ha chiesto di condannare Noury all’ergastolo. Poche ore dopo l’Iran ha fatto sapere di aver “convocato l’ambasciatore svedese”. Il 2 maggio un funzionario iraniano ha dettato alla stampa un comunicato minaccioso – “le condanne di individui legati alla Svezia saranno presto eseguite” – e due giorni dopo, perché non rimanessero dubbi, gli iraniani hanno precisato che visto l’atteggiamento aggressivo della Svezia sul caso dell’arresto illegale del cittadino Noury, innocente di tutto e illegalmente detenuto e processato, l’Iran avrebbe giustiziato “entro la fine del mese” Ahmadreza Djalali.
In Iran si segue il calendario lunare e l’equivalente della “fine del mese” è il 21 maggio. Djalali è un caso piuttosto noto, un medico e ricercatore universitario, iraniano di origine, che ha lavorato in diverse parti del mondo, anche in Italia, e che le autorità iraniane hanno arrestato nel 2016 accusandolo di essere una spia di Israele. Immaginando che la cosa potesse essere d’aiuto, nel febbraio 2018 la Svezia, paese dove il medico ormai viveva con tutta la famiglia, gli conferì la cittadinanza. Tutte le ONG che da anni seguono il caso e i 134 premi Nobel scientifici che hanno firmato una petizione in suo favore ritengono che Djalali sia totalmente innocente. Lo pensa anche Nessuno tocchi Caino. Ma a parte la credibilità delle accuse, rimane il fatto che l’Iran sta tenendo un atteggiamento a cui l’Europa non è più abituata: se condannate un nostro cittadino, noi ne uccidiamo uno dei vostri. Esplicito, plateale, una ritorsione senza giri di parole.
Il processo di Stoccolma rende le autorità iraniane particolarmente nervose, considerato che un altro membro delle “commissioni della morte”, Ebrahim Raisi, attualmente ricopre l’incarico di Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran. I tribunali svedesi stanno processando Noury in base al principio della “giurisdizione universale”. È lo stesso principio giuridico che regola l’esistenza dei tribunali internazionali e che, in caso di reati particolarmente gravi, consente di incardinare processi anche in paesi diversi da dove i crimini sono stati commessi. Quello contro Noury è il primo processo nel mondo che cerca di ricostruire le responsabilità del massacro del 1988 ed è chiaro, e comprensibile, che l’Iran questa cosa voglia evitarla.
Cosa farà la Svezia? Solo due mesi fa aveva ceduto al clima ricattatorio iraniano e aveva rinunciato a processare due agenti di una “cellula dormiente” iraniana con la motivazione “superarciextra” garantista che dall’Iran non giungevano i chiarimenti richiesti. Li aveva rimessi su un aereo verso l’Iran, facendo anche finta che una richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti fosse stata presentata in ritardo. E la Svezia fino ad oggi ha preso (perso) tempo anche sul caso di altre due spie iraniane, i fratelli Kia. Ora, però, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Svezia ha riesaminato la sua antica posizione di neutralità (non ha partecipato a nessuna delle due guerre mondiali) e ha chiesto di aderire alla Nato. Difficile capire se il governo svedese riuscirà a salvare Djalali. Certo è che nel paese nordico hanno compreso che troppa accondiscendenza con i regimi totalitari, alla lunga, non funziona.